Coronavirus: effetti su moda e shopping online
L’emergenza Coronavirus non ha solo cambiato la nostra quotidianità, minando l’equilibrio del vivere insieme che ci definisce “esseri sociali”. Con i dati alla mano, ci permette anche di rileggere i sistemi e le modalità a cui siamo stati abituati fino ad oggi, tra cui quelli della moda, che non può passare indenne nelle nuove circostanze dettate dalla pandemia di Covid-19. Abbiamo ricostruito le tappe della situazione del tutto inedita che stiamo vivendo.
Dalla Cina all’Occidente
La prima notizia, nonché prima fonte di preoccupazione, all’alba della Milano Fashion Week, riguarda l’assenza di buyer e giornalisti cinesi. Ci si ingegna per trovare un modo di far arrivare la nostra solidarietà a un Paese che ha sempre apprezzato il Made in Italy. Subito arriva la risposta della Camera Nazionale della Moda, il progetto China We Are With You che permette collegamenti video e un’esperienza in streaming per informare pubblico e professionisti cinesi, impossibilitati a venire a Milano.
Tutto cambia dal 21 febbraio, in piena fashion week, quando viene scoperto il primo caso italiano, il paziente 1. A dare un primo e chiaro segnale è Giorgio Armani che fa sfilare la collezione autunno inverno 2020 2021 a porte chiuse (domenica 23 febbraio) e firma per una cospicua donazione a favore degli ospedali italiani, là dove si curano i pazienti affetti da Covid-19.
La moda si adopera per far fronte all’emergenza, tra iniziative benefiche e donazioni: tra i nomi spiccano la coppia Chiara Ferragni e Fedez, Benetton, Dolce & Gabbana, Versace, gruppo Kering (per citarne alcuni, ma la lista si continua fortunatamente ad allungare). Le aziende fashion non si fermano e così rispondono all’urgente appello di medici e protezione civile che chiedono mascherine, camici e gel disinfettanti per proteggersi e limitare i contagi. Miroglio, Calzedonia, Zara, Bulgari, L’Oreal e altre aziende del tessile o della profumeria convertono la loro produzione. In poche ore si attiva una lunga catena di riconversioni che si sarebbe detta impossibile appena un mese prima. Siamo comunque di fronte a una situazione di tale emergenza capace di mettere a rischio il mercato della moda: come ha dichiarato l’analista Luca Solca di Alliance Bernstein in un podcast di Business of Fashion, “La prima metà del 2020 sarà probabilmente la peggiore nella storia del mercato del lusso”. Una conseguenza che è frutto anche delle misure adottate per contenere la pandemia che vedono uscite e movimenti delle persone limitati ai “casi di comprovate necessità”, nonché, ovviamente, della chiusura dei negozi.
L’e-commerce come formula “salva-shopping”?
Per quanto riguarda gli acquisti in linea come formula “salva business”, bisogna considerare alcuni fatti: non tutti i consumatori sono digitalizzati e non tutti i brand hanno già sviluppato un e-commerce (soprattutto i più piccoli e gli emergenti) o hanno un rivenditore online. Gli esperti preannunciano una perdita tra il 15% e i 25% delle vendite: una variabile in mano a quel delta tra l’incremento delle vendite online (20%) e la chiusura dei negozi fisici (- 65% della primavera estate e - 40% dell’autunno inverno).
A questo si aggiunge il pensiero, condiviso da molti potenziali consumatori, che potremmo sintetizzare con questa domanda: “Se resto a casa, ho davvero la necessità di fare shopping?” Pr e giornalisti moda hanno risposto proponendo formule “how to” dedicate a smart working e fitness in casa, al loungewear e allo sleepwear.
Dati alla mano, Net-à-Porter ha dichiarato in una recente intervista a WWD di aver registrato un incremento del 40% nelle vendite online con un particolare interesse per i pantaloni della tuta. Una vera e propria caccia alla mise comfy: difficile infatti immaginarsi in abiti eleganti, jeans e scarpe con il tacco seduti sul divano di casa a guardare l’ennesimo film o una nuova serie tv.
Fashion slow
Partiamo da queste decisioni: sfilate rimandate e calendari della moda saltati. Camera della Moda italiana ha infatti annunciato che le presentazioni previste dal 19 al 23 Giugno prossimo di svolgeranno in occasione di Milano Moda Donna a settembre 2020, mentre la Fédération de la Haute Couture et de la Mode ha annullato le sfilate Haute Couture previste a Parigi dal 6 al 9 luglio. Ma questo potrebbe essere solo l’antipasto: il Presidente di Cbi-Camera dei Buyer Italia, Francesco Tombolini, sul Corriere della Sera ha ipotizzato il congelamento della stagione estiva “La merce, che era stata appena esposta nei negozi che hanno dovuto abbassare le serrande, magari andrà in vendita nel 2021”. Un vero e proprio pit-stop per far rifiatare le aziende e che fa riflettere sullo stretto legame tra moda e società.
Lo stato di emergenza, dovuto al Coronavirus, induce a riformulare i tempi del sistema moda, dilatando la proposta, nonché la richiesta e il consumo. Possiamo, quindi, ipotizzare una limitazione dei rilasci di nuovi articoli e collezioni nel mercato e una drastica riduzione delle capsule collection, nonché la scelta di utilizzare capi invenduti o tessuti non ancora tagliati per una moda slow e più sostenibile, seguendo così la filosofia green condivisa anche da Andreas Kronthaler.
“Il virus rallenterà tutto. Assisteremo a una battuta d’arresto nella produzione di beni di consumo. È terribile e meraviglioso perché dobbiamo smettere di produrre a questo ritmo frenetico” – ha dichiarato Li Edelkoort a Business of Fashion, aggiungendo - “È quasi come se il virus fosse una grazia straordinaria per il pianeta. Potrebbe essere il motivo per cui sopravviviamo come specie”. Affermazioni che troviamo anche nella filosofia di Carl Honoré, in Elogio della Lentezza - Rallentare per vivere meglio (Bur).
Un cambio di valori e di tendenze. Il lusso necessario
La condizione di emergenza che viviamo ci porta inevitabilmente a riflettere, nonché a porci la semplice domanda: “Che cos’è utile e necessario?”. Il Coronavirus segna uno spartiacque storico-sociale che avrà sicuramente delle ripercussioni nelle scelte di vita, anche quelle più piccole come il guardaroba.
La moda ha infatti una forte componente antropologica: è associata all’idea di cambiamento (che negli ultimi anni è stato sempre più repentino e al passo con il digitale) e si sviluppa a seconda dei cambiamenti economici, politici, culturali nonché sociali. È, inoltre, uno strumento individuale di comunicazione e di riconoscimento.
Come sarà dunque la moda nel post-Coronavirus? Gli esperti - scienziati, medici e virologi - dicono che dovremo abituarci a utilizzare le mascherine, che diventeranno forse un nuovo accessorio fashion attraverso il quale esprimere la propria identità, pur celando parte del volto. Ma, naturalmente, questo non è che un aspetto laterale della crisi. Dobbiamo aspettarci che il ritorno alla normalità, dopo la lunga quarantena, abbia degli effetti anche sulle nostre scelte. Per esempio, siamo sicuri di voler tornare ai ritmi pressanti dell’era digitale, anche in materia di consumi? Il post-Coronavirus influenzerà molto probabilmente i tempi del consumo, come sottolineato da Francesco Tombolini, offrendoci la possibilità di selezionare e valutare, e magari di investire in prodotti più sostenibili. La crisi Covid-19 si può trasformare in opportunità, che stimola anche le menti creative non più soggette alla frenesia e ai tempi serrati del marketing.
Un ritorno a quel “Lusso necessario” che Giorgio Armani ha ben descritto nella prefazione dell’omonimo libro di Cecilia Gandini e Marco Turinetto: “il mercato arriva a premiare l’eccellenza del prodotto, anche nel piccolo, anche nel quotidiano, restituendo valore alle cose, ma soprattutto, alle idee”.
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