Christina Koch ci racconta i suoi 328 giorni nello spazio
L’astronauta della NASA Christina Koch, 41 anni, è una vera potenza. Nel febbraio 2020 ha stabilito il record di permanenza nello spazio per una donna: 328 giorni a bordo della International Space Station — per 5.248 giri intorno alla Terra. Non contenta, Koch e la collega Jessica Meir hanno anche preso parte alla prima passeggiata nello spazio al femminile, nell’ottobre 2019, entrando nella storia.
“Non ricordo un solo momento della mia vita in cui non abbia desiderato fare l’astronauta. E ho il privilegio di poter esaudire il sogno di tutta una vita”.
L'ha detto lei stessa a Vogue, un mese dopo essere rientrata sulla Terra. Per arrivare fin qui il suo percorso è stato lungo. Dopo la laurea alla North Carolina State University, ha lavorato alla NASA come ingegnere elettrico, prima di fare per un lungo periodo la ricercatrice in Antartide e Groenlandia. “Volevo inseguire le mie passioni e acquisire un’esperienza ad ampio raggio”, spiega. “Ho quindi deciso che, nel momento in cui acquisito tutte le competenze per dire, ‘Adesso sì che posso davvero dare qualcosa al programma (degli astronauti della NASA, NdR) ecco, solo allora avrei fatto domanda per diventare astronauta”.
Koch, che si è specializzata in microgravità mentre era nello spazio, segue le orme di una lunga serie di donne pioniere dello spazio, fra cui la cosmonauta russa Valentina Tereshkova, la prima donna ad andare nello spazio, nel 1963, e Sally Ride, la prima americana nello spazio, nel 1983. Christina Koch ha parlato a Vogue delle nuove frontiere dello spazio per una donna, delle difficoltà che ha incontrato e del perché esplorare lo spazio è una cosa preziosa per tutti noi.
Come ci si sente a detenere il record per la permanenza più lunga nello spazio per una donna?
“Prima di tutto, è un onore aver potuto seguire le orme dei miei eroi, le persone che mi hanno aperto la strada e che mi hanno permesso di essere dove sono oggi. Sento una grandissima responsabilità di ricambiare e di fare da mentore agli esploratori del futuro. La mia speranza più grande per il mio record è che venga battuto il prima possibile, perché significherebbe che continuiamo a spingerci oltre i nostri limiti. Non vedo l’ora che venga superato, spero presto, da qualcuno a cui ho avuto l’onore di fare da mentore, e vedere che realizza il suo sogno”.
Hai anche preso parte alla prima passeggiata nello spazio tutta al femminile insieme a Jessica Meir. Come è andata?
“Jessica e io abbiamo cercato di minimizzare il fatto che sarebbe stata la prima passeggiata nello spazio di sole donne perché avevamo delle enormi responsabilità di tipo tecnico da sostenere, eravamo molto concentrate sulla missione imminente. Ma c’è stato sicuramente un momento che non dimenticherò mai dopo aver lasciato la camera stagna, e ci siamo ritrovare fuori, nello spazio: ci siamo cercate con lo sguardo, abbiamo sorriso e abbiamo capito entrambe il significato di quel momento.
“Il vero risultato non era che due persone fossero uscite dalla camera stagna ma che, nell’ambito di una missione più ampia e come agenzia, avessimo deciso di farlo noi. La nostra missione era per l’umanità intera”.
Avresti dovuto prendere parte alla prima passeggiata nello spazio al femminile con Anne McClain nel marzo 2019, ma venne cancellata per problemi relativi alla taglia delle tute spaziali. È stato frustrante?
“Anne McClain ha comunicato che avrebbe preferito non fare la passeggiata nello spazio senza una tuta della taglia adeguata a lei nelle primissime fasi della mia missione. Ero felice che si sentisse legittimata a prendere quella decisione, e che nessuno alla NASA avesse messo in dubbio la sua decisione o le avesse chiesto di cambiare idea, per il fatto che l’evento era stato già annunciato. Credo che questo la dica lunga su dove siamo arrivate”.
Quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato come astronauta donna?
“La passeggiata spaziale è un esempio di un ambito in cui esistono certe limitazioni che riguardano le donne, anche semplicemente perché abbiamo taglie diverse. Le tute spaziali prodotte 30 o 40 anni fa dagli Astronaut Corps della NASA venivano create per un astronauta uomo dalla corporatura media. È solo un esempio tangibile del fatto che esistono problemi risalenti ad abitudini del passato che possono ancora recare danno alle donne.
“Alla scuola per astronauti la mia è stata la prima classe in cui c’era un numero uguale di uomini e donne. Quando abbiamo finito la scuola, ci si aspettava che le donne potessero eccellere tanto quanto gli uomini. E ci sono state date le risorse e il sostegno perché ciò accadesse”.
Che tipo di impatto ha stare nello spazio sul corpo di una donna, e in che modo si differenzia da quello sul corpo maschile, se c’è una differenza?
“È un argomento che si sta ancora studiando. Ci sono stati più di 560 esseri umani che hanno passato del tempo nello spazio, e circa 65 di questi sono donne, quindi è ancora difficile arrivare a delle conclusioni scientifiche universali. In generale, una cosa è certa, e cioè che fino ad ora non ci sono prove della differenza fra uomini e donne in quanto a resilienza o robustezza sia per l’adattamento alla vita nello spazio, sia per la ripresa una volta tornati sulla Terra.
“Mi considero fortunata per aver dato il mio contributo a nuovi studi sull’adattamento del corpo umano alle lunghe permanenze nello spazio, perché si possa progettare al meglio le missioni future nello spazio più profondo”.
La matematica della NASA Katherine Johnson si è spenta nel febbraio 2020, a 101 anni. Molti non conoscevano la sua storia prima dell’uscita del film Il diritto di contare, nel 2016. Credi che la storia delle donne, anche delle donne di colore, che lavorano in questo ambito oggi sia più conosciuta di un tempo?
“Sì, e va detto che ero fra quelli che non erano a conoscenza del loro contributo. Ho letto un paio di libri sulle donne che lavoravano al JPL, (il Jet Propulsion Laboratory, NdR) e sono state di grandissima ispirazione per me. Ed è meraviglioso che il loro contributo venga messo in luce. È un privilegio fare parte di questo programma in un momento storico in cui alle donne viene riconosciuto il loro ruolo, ma la verità è che un ruolo lo hanno sempre avuto, con la differenza che adesso non restano più sullo sfondo.
“Ed è importante conoscere la storia, su quella dobbiamo basarci per progredire. Il diritto di contare, il film e il libro, hanno messo in luce quante difficoltà le persone erano in grado di superare. Una cosa che ho imparato è che in questa epoca in cui i pregiudizi sono forse più impliciti — ma ci sono ancora, eccome direi — dobbiamo ancora cercarne l’evidenza, e sradicarli”.
Che cosa ti ha sorpreso maggiormente della tua esperienza nello spazio?
“La più grande sorpresa è stata vedere come il corpo umano si adatti ai viaggi nello spazio. Si tratta di un ambiente a noi estraneo: quando ci vai per la prima volta, ti sembra come di nascere una seconda volta. Perché devi re-imparare a svolgere le mansioni più semplici della vita di tutti i giorni, ma nello spazio e in una stazione spaziale. Poi, dopo un paio di settimane, non fai nemmeno più caso che stai fluttuando. Il corpo si adatta, la mente impara a rappresentare le cose in 3D, impari a muoverti attaccandoti ai corrimano e ancorando i piedi alle sbarre”.
Come ti stai riabituando alla vita sulla Terra dopo 11 mesi nello spazio? Che cosa stai facendo per riabituarti?
Innanzitutto c’è un riadattamento di tipo fisico, impari a camminare di nuovo e stare in equilibrio. Il tuo cervello smette di ascoltare il tuo “orecchio interiore” e ti orienti nello spazio visivamente, e quando rientri sulla Terra hai tutta una serie di segnali contrastanti che possono anche portare a malesseri legati al movimento. Adesso mi concentro sul mio sistema cardiovascolare: anche se facciamo molto esercizio a bordo della stazione spaziale, una parte della capacità aerobica viene perduta semplicemente perché il cuore non deve pompare così forte in assenza di gravità.
“Poi, ovviamente, c’è la questione del reinserimento nella società: imparare a fare cose normali come la spesa. Di solito scherziamo sul fatto che quando si rientra sulla Terra il reparto dei detersivi ci intimidisce perché nello spazio abbiamo un unico prodotto per fare tutto. Non ho dovuto nemmeno scegliere gli indumenti per più di un anno, mi hanno fornito di tutto”.
La gente spesso si domanda come mai spendiamo così tanti soldi per esplorare lo spazio quando abbiamo tanti problemi sulla Terra, fra cui i cambiamenti climatici. Qual è la tua risposta?
“La mia risposta è duplice: primo, ci sono i benefici tecnici che vediamo. Ci sono l’indotto, la possibilità di fare ricerca su temi come il cambiamento climatico, i farmaci. Ma ancora più importante è che dà nuovi impulsi in particolare alle discipline scientifiche e tecnologiche (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica, NdR). In questo momento le idee innovative e le persone che sono stimolate a esplorare le frontiere della conoscenza, ma anche i confini dell’ universo, sono quelle che cerchiamo. Se non progrediamo, rischiamo di tornare indietro”.
Speri di andare di nuovo nello spazio?
“Assolutamente sì. Anche se ci sono tante cose che posso fare da qui e, anzi, non vedo l’ora di utilizzare molte delle cose che ho imparato nelle spazio anche quaggiù, spero davvero di avere l’opportunità di tornare di nuovo nello spazio”.
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