Olivier Assayas alla Festa del Cinema di Roma: una lezione sulla Nouvelle Vague
Partecipare a una lezione sulla Nouvelle Vague tenuta dal regista Olivier Assayas è certamente uno degli eventi che non si dimentica. L’idea è nata alla Festa del Cinema di Roma che ha deciso di celebrare il cineasta regalando al pubblico un pomeriggio con il maestro parigino, di ritorno in Italia dopo la partecipazione alla Biennale con l’ultimo lavoro, Wasp Network, con Penelope Cruz e Gael Garcia Bernal (qui trovate anche l'intervista a Viola Davis). Una delle sue ultime muse, Kristen Stewart, che ha diretto due volte, ha ottenuto grazie a lui il primato di essere l’unica americana a conquistare un Cèsar. Poliedrico, raffinato e sagace, questo figlio d’arte con padre sceneggiatore e madre stilista ha esordito come critico cinematografico per poi seguire le orme paterne, ma soprattutto dietro la macchina da presa.
Com’è nato il suo interesse per la Nouvelle Vague?
Come ogni giovane regista, da ragazzo guardavo all’epoca di questi grandi maestri con ammirazione e ambizione, sperando un giorno di arrivare ad esprimermi con la stessa energia creativa. Negli Anni Sessanta il cinema era davvero il cuore del mondo artistico ed era sul grande schermo che accadevano le rivoluzioni maggiori. Negli Anni Ottanta, quando ho iniziato io, invece eravamo in piena controcultura americana, dominava il rock and roll e la cultura era influenzata da molto altro.
Che legame esiste tra il cinema italiano e la Nouvelle Vague?
Il neorealismo italiano ne è l’antesignano, perché dopo la Seconda Guerra Mondiale la cultura si era un po’ macchiata di collaborazionismo con i nazisti o con i fascisti e l’arte doveva redimersi e innescare un cambiamento. È stato Rossellini a influenzare i cineasti francesi, Godard incluso.
Con quale titolo si può considerare iniziata la Nouvelle Vague?'?
Con Trattato di melma ed eternità di Isidore Isou, che utilizza il cinema come manifesto estetico e politico poi destinato a sfociare nel Sessantotto e nelle rivolte studentesche. Lui è stato profeta e predecessore della Nouvelle Vague mentre dall’altra parte dell’oceano la sperimentazione americana vantava nomi come Andy Warhol e John Cassavetes.
Come si lega Isou a Godard?
Godard ha cercato una sorta di spiritualismo estetico, attraverso un rifiuto della narrazione tradizionale. Interessante è vedere come ogni regista della Nouvelle Vague l’abbia declinata a modo proprio.
Lei come si colloca?
Io facevo parte degli anni in cui si mettevano in discussione i valori borghesi. Ho lavorato con mio padre per cui ho sempre nutrito profonda stima ma il suo modo di affrontare il cinema non mi appassionava minimamente: guardavo Easy Rider, ascoltavo Bob Dylan e sognavo di fare il pittore a tempo pieno. Solo da giovane adulto ho deciso di consacrare la mia vita al grande schermo, ma a modo mio.
Che rapporto ha invece con il cinema di Truffault?
La calda amante è uno dei miei film preferiti, non solo perché si differenzia da una certa gravità che ha caratterizzato altri suoi lavori ma perché mette al centro del racconto una nuova generazioni di attrici, reinventando il proprio ideale femminile. Ha creato una fotogenia moderna, con figure iconiche come Françoise Dorléac, sorella maggiore di Catherine Deneuve, che poi ha perso tragicamente la vita in un incidente d’auto. E ha anche inventato la cinefilia, creando una dimensione letteraria del cinema, quasi a costruire il romanzo moderno francese.
Come s’inserisce il quotidiano nella sua poetica?
Truffault ha un’idea del cinema che si lega alla rivoluzione impressionista, per cui non occorreva un soggetto epico in uno studio, bastava affacciarsi alla finestra e catturare la realtà. Pur avendo accesso ai fondi dell’industria cinematografica, ha creato film semplici e a basso costo per catturare la verità come in una fotografia.
Non è stato il solo a voler catturare la bellezza senza artifici.
Eric Rohmer, ad esempio, usa la sensualità del colore e del calore della natura con un realismo sensuale completamente nuovo. Non usava attori e filmava rispettando i cicli delle stagioni, in maniera pura. Fino alla fine è rimasto fedele alle sue influenze impressioniste mentre altri, come Godard, a un certo punto si sono lasciati influenzare dalla pop art.
Un altro genio dell’epoca che ama profondamente?
Claude Chabrol anche se, per onestà intellettuale, bisognerebbe organizzare una retrospettiva con il peggio del suo cinema, il che includerebbe almeno 10-15 titoli. Ha realizzato tanti capolavori ma era pigro nei confronti di ciò che non lo interessava e finiva con l’essere cinico e passare al progetto successivo dopo aver concluso quello precedente con poca ispirazione. Segna la fine di un’epoca con spiccata malinconia che lascia spazio nel dopo Sessantotto a una forma di idealismo misto a speranza di cambiamento, poi mai avvenuto.
Se potesse, invece, scegliere un italiano?
Luchino Visconti mi emoziona molto, soprattutto nel rapporto con il passato quasi a mo’ di documentario, con una precisione unica capace di ispirare i più grandi, da Polanski a Kubrick. Profondamente interessato alla verità, ha creato autentici gioielli ed è un punto di riferimento per il cinema storico.
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