International Woolmark Prize 2020 annuncia i 10 finalisti
A-Cold-Wall*, Blindness, Bode e Richard Malone sono alcuni dei 10 finalisti dell’International Woolmark Prize 2020, uno dei concorsi per talenti emergenti più prestigiosi del mondo. Selezionati fra più di 300 candidati da quasi 50 nazioni, i finalisti seguono le orme di famosi stilisti che hanno partecipato al concorso in passato, come Karl Lagerfeld, Yves Saint Laurent e Giorgio Armani.
La novità dell’edizione 2020 è che i finalisti non verranno più suddivisi nelle due categorie classiche menswear e womenswear, ma ci sarà un unico vincitore che si aggiudicherà un premio in denaro di 200.000 dollari australiani (pari a circa € 120.000), che nel 2019 è stato vinto dalla griffe unisex britannica Edward Crutchley e dal duo di designer Colovos, marito e moglie. A febbraio verrà anche annunciato il vincitore dell’Innovation Award (andato quest’anno a Edward Crutchley) che si porterà a casa 100.000 dollari australiani (pari a circa € 60.000). Inoltre per la prima volta nel 2020 tutte le collezioni dovranno essere "completamente tracciabili", per mettere in luce l’importanza della trasparenza nella supply chain della moda.
«I finalisti sono la dimostrazione della crescente inclusività della fashion industry globale e fanno ben sperare per il futuro, grazie al loro impegno nel scegliere pratiche sostenibili», ha detto a Vogue Stuart McCullough, managing director di The Woolmark Company. «Come sempre speriamo di far conoscere al mondo i migliori talenti emergenti, ma anche la grande versatilità della lana Merino australiana».
Ognuno dei 10 finalisti presenterà una collezione di sei capi realizzati in lana Merino a una giuria composta da 16 membri, a Londra, nel febbraio 2020. Fra i giurati, Sarah Mower di Vogue.com, la direttrice di Vogue Germania Christiane Arp, la vice direttore di Vogue Italia Sara Sozzani Maino e la fashion director di Vogue Australia Christine Centenera.
«Non è mai impresa facile scegliere i finalisti da una serie di designer così diversi fra loro» ha detto Livia Firth, fondatrice e creative director di Eco Age, oltre che membro della giuria. «Per me era importante presentare tutte le tipologie di talento, per capire come sarà la moda del futuro».
Vogue ha incontrato i 10 finalisti dell’ International Woolmark Prize 2020.
A-Cold-Wall*
Da quando ha lanciato la griffe di menswear A-Cold-Wall* nel 2015, il designer britannico Samuel Ross ha collezionato un successo dopo l’altro, collaborando con Nike, Diesel Red Tag e Converse. Oggi è entusiasta di valorizzare ulteriormente le sue credenziali “green”. «La sostenibilità è una filosofia che abbiamo introdotto nella nostra pratica per tutto lo scorso anno», spiega Ross. «Voglio ampliare le mie conoscenze sulla lana e sul suo utilizzo a 360°. Il mio approccio sarà basato sulla reinvenzione e sulla performance, mettendo in evidenza le potenzialità di questa fibra».
Blindness
Fondata nel 2016 dai due designer KyuYong Shin e JiSun Park, di base a Seul, Blindess lascia il segno con le sue creazioni genderless. I due stilisti ora sperano di far crescere il loro talento grazie alla partecipazione all’International Woolmark Prize. «Volevamo metterci alla prova e crescere facendo nuove esperienze» spiegano. «È precisa responsabilità dei brand utilizzare le risorse naturali con le giuste finalità».
Bode
Nota per le sue creazioni uniche, realizzate a mano utilizzando tessuti vintage upcycled, la stilista americana Emily Adams Bode è stata una vera apripista per la moda sostenibile sin dal lancio del suo brand omonimo nel 2016. «Le nostre collezioni sono realizzate per il 40% con materiali vintage: gran parte sono create con tessuti in lana che vanno dal 1890 circa agli anni 40», dice la designer, che spiega che il brand si sta ampliando, introducendo materiali nuovi, ma naturali. «Sono entusiasta di utilizzare modi nuovi e innovativi di lavorare la lana nella mia capsule collection».
Botter
Fin dal lancio del loro brand di menswear brand Botter nel 2017, l’ascesa degli stilisti olandesi Rushemy Botter e Lisi Herrebrugh è stata straordinaria, tanto che i due nel 2018 sono stati nominati direttori creativi di Nina Ricci. La lana per i due designer è parte integrante del loro DNA. «Il nostro storytelling sulle nostre radici caraibiche si unisce alla ricerca sull’interpretazione maschile dell’abito formale, e a come possiamo spingerci oltre i nostri limiti per quanto riguarda fluidità e forma», affermano. «Lavoriamo con la lana da sempre, amiamo l’anima versatile di questo materiale e il fatto che possa essere usato per creare nuove forme» .
Feng Chen Wang
La designer di menswear Feng Chen Wang, nata in Cina ma di base a Londra, ha lanciato il suo brand nel 2015 ed è una stilista emergente nota soprattutto per le sue creazioni unisex. «Il Woolmark Prize è un’opportunità fantastica di far conoscere al pubblico la bellezza e il valore del patrimonio culturale del mio Paese», spiega. «Si tratta di una piattaforma globale dedicata a innovazione e sostenibilità».
GmbH
La griffe berlinese GmbH, lanciata da Isik Serhat e Benjamin Alexander Huseby nel 2016, nasce nella club scene underground della città. Il brand, che crea sia menswear che womenswear, si trova attualmente in una fase di transizione dai materiali sintetici alle fibre naturali. «Abbiamo usato la lana nell’ambito di questo nostro progetto», spiegano. «Uno degli ostacoli più grandi è il costo, e convincere i consumatori che vale davvero la pena pagare un prezzo più alto».
Ludovic de Saint Sernin
Wet’n’Wild, la collezione PE20 dell’ex collaboratore di Balmain Ludovic de Saint Sernin si è sicuramente fatta notare alla Paris Fashion Week lo scorso giugno. Ma forse non avete fatto caso ai capi in maglieria in passerella, vale a dire l’asciugamano annodato intorno alla vita di un modello, diventato virale sui social. «Quell’asciugamano è un capo molto elaborato in lana vergine Merino», spiega lo stilista belga, che ha lanciato il suo brand nel 2017. «È un modo divertente e sexy di lavorare con la lana, un modo che nessuno si aspetterebbe». Anche in questo caso per Saint Sernin la tracciabilità del materiale che utilizza è di importanza fondamentale: «I filati sono stati prodotti in Italia dalle migliori aziende e in questo modo sappiamo sempre da dove provengono».
Matthew Adams Dolan
L’estetica casual dello stilista Matthew Adams Dolan, di base a New York, ha conquistato fan eccellenti come Rihanna, che ha messo le mani su una delle sue giacche in denim subito dopo il diploma di Dolan alla Parsons nel 2014. Ma nonostante la clientela VIP, il designer ha sempre cercato di sviluppare il suo brand in modo consapevole. «Siamo un brand giovane, e credo che la gente si crei delle aspettative sul modo in cui lavoriamo», spiega Dolan. «E questo è in linea con il nostro approccio al consumismo su scala più ampia: prendere decisioni responsabili, lavorare in modo etico e con materiali di alta qualità».
Namacheko
Fondato nel 2017 dai due designer Dilan e Lezan Lurr, fratello e sorella, il menswear brand curdo svedese Namacheko si è presto distinto per l’interessante rivisitazione di capi classici, con la lana sempre al centro delle loro creazioni. «Utilizziamo la lana nelle nostre collezioni da sempre», spiegano. «Il nostro approccio è basato sulla qualità, vogliamo creare capi che durino nel tempo, capi che possano avere una seconda vita, indossati da tante persone diverse».
Richard Malone
Il designer irlandese che sostiene e utilizza pratiche di tipo sostenibile fin dal lancio del suo brand omonimo, nel 2015, sceglie con grande cura filati provenienti dall'Himalaya, e collabora con artigiane locali per trasformarli in tessuti. «È estremamente importante rendere trasparente la nostra supply chain e condividere il nostro percorso con i clienti: se oggi ho un brand è proprio in virtù di questa tracciabilità», spiega Malone. «L’International Woolmark Prize è stata una scelta naturale, sono entusiasta all’idea che è insita nel premio, quella di collaborare con gli altri e fare network».
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