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Intervista a James Blunt: il nuovo album e il tour in Italia

James Blunt canta l'amore, da sempre. Ex militare, 23 milioni di album venduti in 15 anni di carriera, oggi il cantautore britannico torna con Once Upon a Mind, un lavoro maturo, sincero e molto intimo, che lo vede confrontarsi con le difficoltà che spesso segnano l'esistenza. Dall'amore sofferto di You're Beautiful, hit che l'ha consacrato nel 2005, Blunt, 45 anni, ne ha fatta di strada. Sei album, una serie di singoli di enorme successo (da 1973 a Postcards, passando per Heart to Heart e Bonfire Heart), tour mondiali, il matrimonio con Sofia Wellesley - nipote del Duca di Wellington nonché grande amica del principe Harry e Meghan Markle - e un figlio. Una vita divisa tra il palco e la casa di Ibiza, dove ora vive con la sua famiglia, che per lui è sempre al primo posto. "Questo album è dedicato ai miei genitori, a mio padre", dice. La sua sesta opera, in effetti, appare calda, spontanea e onesta, una dichiarazione d'amore alle persone care, incisa indelebilmente su 13 tracce. Ne abbiamo parlato proprio con lui a Milano, dove non vediamo l'ora di rivederlo live. James Blunt sarà in concerto in Italia a marzo 2020: il 25 a Milano (Mediolanum Forum), il 27 a Padova (Kioene Arena) e il 28 a Roma (Palazzo dello Sport).

Once Upon a Mind x Atlantic Recods
Once Upon a Mind x Atlantic Recods

La nostra intervista

Sono passati 15 anni dal tuo primo album. Quanto sei cambiato come artista?
Quando ho iniziato 15 anni fa volevo solo fare musica. Non pensavo ad altro se non a quello che avevo in testa e a come potevo esprimerlo. Poi è arrivato il successo, e con lui i problemi. Perché quando scrivi musica sai già che c’è un pubblico. E mentre scrivi, il tuo pubblico è sempre lì con te. Questo non mi permetteva di essere sincero. Non riuscivo a scrivere canzoni che mi arrivassero dal cuore, piuttosto canzoni che voi avreste voluto ascoltare. Di conseguenza, le canzoni non suonavano vere. Con questo album, però, è stato diverso, oggi c'è qualcosa di più importante del pubblico. Sono passati 15 anni e sono più sicuro di me stesso. E poi oggi riesco a comprendere il cerchio della vita: da una parte c'è mio padre che non sta bene, dall'altra mio figlio. Sono in giro da 15 anni per i tour e stare lontano da casa mi fa sentire solo e fa soffrire la mia famiglia, che resta a casa. Le canzoni che ho scritto sono per loro, per mio padre e mio figlio. È per questo che sono canzoni molto sincere, crude, vere. Con un tocco di malinconia, ma anche di gioia.

Quando hai iniziato a lavorare al nuovo album?
Ho iniziato a concentrarmi su questo album a ottobre dell’anno scorso. Ho concluso il tour a settembre e il 1 ottobre sono entrato in studio. Da allora ho lavorato letteralmente ogni singolo giorno, anche fino a notte inoltrata. Lo sentivo come un lavoro molto importante, avevo tante cose da dire. Ogni nota e ogni suono doveva essere perfetto.

È stata una scelta naturale quella del primo singolo, Cold?
No, è stata una decisione molto difficile. I single solitamente vengono selezionati per la radio. All'inizio ne ho discusso parecchio con la mia etichetta, ma alla fine mi sono fidato di loro. Di questo album amo ogni singola canzone. Sarei stato felice con qualsiasi altro singolo. Hanno scelto Cold e va bene così.

Nel 2020 inizierai il nuovo tour, e tornerai finalmente in Italia.
Si, sono felicissimo!

Hai bei ricordi legati all’Italia?
Con 15 anni di esperienza posso dirlo con certezza: un pubblico caldo come quello italiano è senza ombra di dubbio il migliore. Per me venire a suonare in Italia è sempre un piacere, che sia Milano, Roma o una città più piccola. Da musicista suono le stesse canzoni ogni sera, per me l’unica cosa che cambia è la location e il pubblico. A volte non riesco quasi a rendermi conto della location, perché ho tutte le luci addosso. Ecco perché mi piace farmi trasportare dal pubblico, e in questo voi italiani siete i migliori!

Il mondo dei concerti oggi è cambiato moltissimo, anche per l’utilizzo costante dei social media. Riesci a immaginare, per esempio, un concerto senza smartphone?
In tanti sembrano avere un problema con i social media, ma per me non è così. Se le persone durante un concerto vogliono filmare e postare stanno facendo pubblicità alla tua musica, praticamente ti stanno facendo un favore. Spero solo che intanto riescano a godersi anche il concerto!

Tu che rapporto hai con i social?
Di solito li guardo una volta al mese. Apro Twitter, vedo che le persone sono tutte maleducate e scortesi tra loro, posto qualcosa di stupido e torno alla vita reale.

Hai lavorato anche con una serie di dj internazionali. Ti piace il clubbing?
Mi sono trasferito a Ibiza perché mi piacciono i club, ma anche tante altre cose. Sono cresciuto a Cipro, amo il Mediterraneo e il suo stile di vita. Credo che le persone qui siano più calde, amichevoli, aperte e gentili. Quindi per me Ibiza, che ha anche splendidi club, è l'opzione perfetta. E poi qui puoi scegliere di essere qualsiasi cosa tu voglia, ha un'anima tranquilla e una più animata. Per questo mi piace così tanto.

C’è un club che ami in particolare?
Certo! Quello che mi sono costruito in giardino. Fuori c’è una grossa insegna che dice Blunty’s Nightclub, where everybody’s beautiful.

Sul serio?
Si, è tutto vero! Sembra uno scherzo, ma non lo è!

Blunty's a parte?
Il Pacha, il club più antico dell’isola che ha aperto nel 1973. La mia canzone 1973 è ispirata al Pacha e con Pete Tong l’abbiamo mixata e suonata proprio lì! Anche Robin Schulz l’ha suonata parecchio. Insieme a Robin ho realizzato una traccia che si chiama OK. La canto in ogni concerto. Solitamente si pensa che le collaborazioni con i dj inizino in studio, ma per me non è stato così. Ho iniziato a scrivere la musica di OK con la chitarra e il piano, poi ho mandato tutto a Robin Shultz che ha fatto la magia. Per me è stato perfetto, così posso suonare la canzone live molto facilmente perché l’ho scritta io. Devo solo aggiungere un po’ di pathos e suonare più forte.

Suoni anche come dj?
No, so stare al mio posto.

Pensi che la musica debba necessariamente schierarsi politicamente o possa essere anche solo intrattenimento?
Credo sia qualcosa di personale, che dipende molto dal tipo di artista che sei e dalla musica che fai. Non credo si debba guardare ai musicisti come modelli, perché non siamo perfetti. Anzi. Ho la mia personale visione e utilizzo la mia voce per parlarne come ho sempre fatto. Sono stato nell’esercito, sono stato un soldato, non un politico. I politici possono essere molto aggressivi a parole, ma sono i soldati a trovarsi sul campo tra morte, violenza e distruzione. I soldati, di qualsiasi esercito, hanno come missione la pace. Da musicista sono più interessato alla comprensione dello spirito umano, alla compassione, a cosa significhi essere umani al di là della destra e della sinistra. Perché la maggior parte delle persone sta da qualche parte lì in mezzo.



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