La storia delle sfilate di moda per immagini
In poco più di 15 minuti, la sfilata di moda è in grado di dar vita alla visione del futuro di uno stilista lasciando un marchio indelebile nella cultura. Lungi dall’essere statico, il concetto di fashion show evolve proprio come fa la moda. Dagli inizi (con presentazioni su manichini ad uso della clientela) all’introduzione delle cosiddette fashion parade con modelle in carne e ossa: la sfilata, così come la conosciamo oggi, nasce nelle sale da ballo indorate della Parigi anni ’10 e, forgiata dalla libertà creativa dei suoi primi pionieri, quali Charles Worth, Paul Poiret e Yves Saint-Laurent, è possibile tracciarne l’evoluzione fino ai nomi contemporanei più prestigiosi. Dopotutto, senza i precursori di allora, non ci sarebbero Miuccia Prada, Rei Kawakubo e nemmeno John Galliano.
Di seguito, prendiamo in rassegna i grandi antesignani della moda che hanno posto le fondamenta del moderno runway show e dell’intero fashion system per come lo conosciamo oggi.
Manichini, modelle e movimento
Charles Worth
Alla fine del XIX secolo, il couturier anglo-francese Charles Frederick Worth divenne noto per aver reso più portabile l’Haute Couture. Abbandonando l’ampia crinolina a favore di una silhouette dritta, nota anche come Princess, e indossata dall’Imperatrice Eugénie, moglie di Napoleone III, Worth aveva semplificato la vita alle donne, permettendo loro di passare attraverso le porte, sedersi e muoversi più liberamente.
Di norma, i couturier erano soliti far visita alle loro clienti a casa per prendere le misure e provare i capi ma Worth le ospitava presso il suo atelier, dando così il via alla tradizione del salotto – il salon – assieme al relativo contesto sociale che divenne parte del successo del suo marchio. La maestria del couturier si manifestava in maniera più tangibile nel corpino composto da 17 elementi al fine di garantire il fit perfetto. Comunemente definito il padre dell’Haute Couture, Worth fu anche il primo stilista a dire addio ai manichini, scegliendo invece indossatrici in carne e ossa, tra cui la moglie Marie Augustine Vernet, per presentare le sue collezioni.
Paul Poiret
Nel 1900, uno dei padre fondatori dell’Haute Couture, Paul Poiret, cambiava il corso della storia della moda con le sue rivoluzionarie silhouette prive di corsetto e le sue prime sperimentazioni col fashion show. Al pari di stilisti contemporanei come Alessandro Michele e Marc Jacobs, che hanno utilizzato giostre a cavalli, tapis roulant e coreografie sperimentali come set per le loro sfilate, anche Poiret amava l’idea di mostrare le sue creazioni in movimento.
Il concetto più all’avanguardia di Poiret? Organizzare balli per l’alta società parigina, tra cui il sontuoso La mille et deuxième nuit, in cui Mme Poiret indossò una gabbia dorata. Il circolo di glitterati frequentato da Poiret ha dato vita anche ad un’altra pietra miliare del fashion. Nel 1911, il fotografo Edward Steichen immortalava i capi di Poiret per il numero di aprile di Art & Décoration in quello che è considerato essere uno dei primi servizi di moda.
Il salone haute couture
Coco Chanel
La storia ricorda la rivoluzionaria Gabrielle Bonheur ‘Coco’ Chanel come colei che ha liberato le donne dai corsetti restrittivi a partire dagli anni ’20, sostituendoli con silhouette di ispirazione sportiva in jersey leggero, un materiale associato, a quel tempo, alla biancheria maschile. Il guardaroba Chanel era incentrato su uno stile nonchalant e funzionale e i capi come il tipico Breton top a righe e i pantaloni da yatch facevano da apripista ad una versatilità senza precedenti nella moda femminile, che resero i salon show di 31 Rue Cambon a Parigi una vera rivelazione. All’insaputa del pubblico in sala, Chanel era solita guardare di nascosto le reazioni degli ospiti riflesse nello specchio ricurvo della famosa scalinata che conduceva al suo appartamento.
Elsa Schiaparelli
L’amore per il surrealismo di Elsa Schiaparelli, che contava tra gli amici più cari artisti come Francis Picabia, Marcel Duchamp e Man Ray, la vide allargare i confini di cosa può dire un abito.
Figura centrale della scena della moda parigina tra la prima e la seconda guerra mondiale, Schiaparelli abbinava l’irriverenza e l’intellettualismo del movimento surrealista alla moda, dando ai suoi capi un’originalissima vena ironica. Anche in fatto di collaborazioni era in anticipo sui tempi. Tra il 1937 e 1940, la stilista di origine romana si unì a Salvador Dalí per creare un portacipria a forma di rotella di telefono e un ‘cappello-scarpa’ che avrebbe deliziato il suo colto FROW, che comprendeva tra gli altri il poeta francese Jean Cocteau.
Schiaparelli si assicurò anche una delle primissime versioni dell’endorsement hollywoodiano vestendo star come Marlene Dietrich e Mae West, che indossò i suoi capi nella commedia musicale del 1937, intitolata Every Day’s a Holiday. Il suo universo non era fatto però di sola adorazione e fan. Gli stretti legami col mondo dell’arte le garantivano un’influenza culturale che andava oltre la moda, il che le valse il noto commento da parte della rivale Coco Chanel, che si riferiva a Schiaparelli come “quell’artista italiana che fa vestiti”.
Madeleine Vionnet
Nota come la maestra del taglio di sbieco (una tecnica che consisteva nel tagliare un tessuto in diagonale rispetto alla direzione del filo di trama), la couturier francese Madeleine Vionnet approcciò gli anni ’20 con una nuova visione all’insegna del movimento (ispirandosi, in particolar modo, al rituale di danza a piedi nudi della ballerina Isadora Duncan) e delle sculture dell’Antica Grecia.
Al posto dei corsetti e dei cuscinetti, Vionnet fece entrare in scena capi dalle linee sinuose che accarezzavano il corpo, affascinando tutta una serie di clienti di spicco come Katharine Hepburn, Joan Crawford e Greta Garbo. L’ammirazione dell’élite di Hollywood ne determinò il successo oltreoceano. La sua prima presentazione di moda si tenne all’interno dei grandi magazzini americani Charles & Ray Ladies’ Tailors di New York City, influenzando gli show che avrebbe organizzato in seguito presso il suo salon parigino al numero 50 di Avenue Montaigne.
Largo ai fotografi
Christian Dior
Secondo gli standard di oggi, lo stilista più iconico del dopo-guerra verrebbe definito come ‘un bocciolo tardivo’. Dior lanciava infatti il marchio omonimo nel 1947, all’età di 42 anni. Ma il suo tempismo fu azzeccatissimo. Appena due anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, il suo marchio di fabbrica, il ‘New Look’, composto da gonne a ruota voluminose e la giacca Bar dalle linee strutturate, segnava la fine dell’austero guardaroba da tempi di guerra.
Corolle, la collezione di debutto dello stilista, prendeva il nome dalle gonne con silhouette a corolla, che enfatizzavano – per l’appunto – la rinascita del lusso. L’ulteriore inventiva di Monsieur Dior risiedeva nella sua showmanship: alla sua sfilata del 1947, invitò infatti un gruppo di fotografi, a cui, in passato, era vietato partecipare alle presentazioni private in salotto. Grazie al talento per attirare fan al di fuori dei circoli più stretti della sua clientela parigina, Dior portò le sue collezioni in tour presentandole ad un pubblico internazionale da Cape Town a Caracas, personalizzando le note di sfilata ed espandendo in modo ambizioso il suo mercato, con l’apertura di una boutique a New York negli anni ’40.
Pierre Balmain
Come Dior, Pierre Balmain lanciava il brand omonimo nella Parigi del dopo-guerra, nel 1945, proponendo completi sartoriali, un trionfo di stampe animalier e sfarzosi abiti da sera che presentava alla clientela dell’alta società parigina nei suoi salon show privati. Nel 1949, gli show di Balmain raggiungevano orizzonti sempre più lontani, spingendosi, nel 1952, persino a New York. Le sue amicizie con le scrittrici americane Gertrude Stein e Alice B. Toklas sono documentate in un omaggio al couturier scritto da Stein su Vogue, il 1 dicembre 1954 intitolato ‘New grand succès of the Paris couture remembered from darker days...’, nel quale citava la loro amicizia e il talento dello stilista nel procurarle cotone da rammendo per ricucire calze e calzini come i momenti più gioiosi durante gli anni di privazione della guerra. Vestiva anche le star di Hollywood come Katharine Hepburn e Sua Maestà, la Regina Sirikit di Tailandia.
Jacques Fath
Stilista autodidatta noto per auto pubblicizzarsi in maniera vorace, Jacques Fath presentava le sue prime collezioni all’interno di un salone di due stanze su Rue de la Boétie a Parigi, per poi trasferirsi, nel 1944, ad una location più imponente. Dalle asimmetrie ai volumi, passando attraverso l’uso dei tessuti grezzi (tra cui la tela di canapa e le paillettes realizzate con gusci di noce e mandorla), Jacques Fath era un maestro nell’arte della sperimentazione.
Era molto amato anche dalle dive di Hollywood come Ava Gardner, Greta Garbo e Rita Hayworth ma anche Eva Perón, che indossò uno dei suoi capi per un ritratto dipinto durante gli ultimi mesi della sua vita da First Lady dell’Argentina. Quando lo stilista morì di leucemia nel 1954, la moglie Geneviève Boucher, che era stata anche sua modella e musa, assunse le redini della maison presentando una sua collezione nel 1955 prima di chiudere definitivamente I battenti due anni dopo.
Givenchy
Il Conte Hubert de Givenchy fondava la maison omonima nel 1952, dopo aver appreso il mestiere lavorando per Jacques Fath e Elsa Schiaparelli. Le originalissime creazioni di Givenchy sposavano un approccio completamente diverso da quello dei suoi mentori, ribellandosi all’enfasi posta sul punto vita della donna preferendo, invece, silhouette astratte e a palloncino.
Givenchy aveva ben compreso l’importanza della celebrità come mezzo per spingere il suo brand oltre le porte del suo salone parigino, lanciando una linea prêt-à-porter, Givenchy Université, nel 1954 e una collezione uomo nel 1969. Oltre a Parigi, la sua clientela di affezionatissime includeva nomi come Lauren Bacall, Maria Callas, Grace Kelly e Diane Vreeland ma fu l’amica di una vita, Audrey Hepburn, che contribuì a rendere Givenchy la maison riverita che conosciamo ancora oggi. È risaputo che il leggendario black dress indossato dall’attrice in Colazione da Tiffany era frutto dell’inventiva del grande stilista.
Yves Saint-Laurent
Considerato da molti il padre del moderno guardaroba femminile, Yves Saint-Laurent lanciava il marchio omonimo nel 1961 assieme al partner Pierre Bergé, dopo aver trascorso diverse stagioni nel ruolo di direttore creativo di Dior (un incarico che aveva assunto nel 1957 a soli 21 anni). Le idee all’avanguardia di Saint-Laurent – un mix androgino fatto di trench, tailleur pantalone e smoking che prendeva in prestito a piene mani dall’abbigliamento maschile – elessero il suo salon al numero 30 di Rue Spontini uno dei luoghi chiave della scena della moda parigina. È qui che il 29 gennaio 1962, presentava la sua prima collezione ad un pubblico altolocato che comprendeva la Contessa di Parigi, la Principessa Anna, la Baronessa de Rothschild, Zizi Jeanmaire e Françoise Sagan.
La moda come teatro
La Battaglia di Versailles
Frutto del genio della fashion publicist per eccellenza, Eleanor Lambert (che ha fondato la Fashion Week di New York nel 1943) e del curatore di Versailles, Gérald Van der Kemp, la Battaglia di Versailles del 1973 è entrata a far parte degli annali della storia della moda diventando la Fashion Week ufficiale di Parigi dedicata al ready-to-wear. Pubblicizzata come una competition tra cinque stilisti francesi (Yves Saint-Laurent, Emanuel Ungaro, il direttore creativo di Christian Dior, Marc Bohan, Pierre Cardin e Hubert de Givenchy) e cinque designer americani in visita in Francia (Bill Blass, Oscar del la Renta, Anne Klein, Halston e Stephen Burrows), il progetto di Lambert produsse risultati alquanto glamour, con i creativi intenti a superarsi a vicenda – lo show di Yves Saint-Laurent portò in scena una limousine Bugatti mentre Dior optò per una carrozza a forma di zucca a grandezza naturale. Il giorno della sfilata, la line-up americana risultò essere avvantaggiata grazie ad una serie di performance dal vivo con Liza Minnelli e Josephine Baker.
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