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Un quadrato di bellezza. Intervista a Bali Barret

A 12 anni aveva un carré Hermès (della madre, o forse suo) che le piaceva moltissimo, a tal punto che di quel foulard con pennelli e colori riprodusse il disegno – chiavi in oro e nero – su un baule che aveva in camera… Quello che per Bali Barret allora era, dice, il passatempo di una certa epoca, oggi è il suo mondo: dal 2009 è infatti direttrice artistica dell’universo femminile di Hermès, e su quel quadrato di felicità compone le geometrie della vita tra mondi immaginari, natura, oggetti, personaggi e storie.

Oggetto di lusso, definirlo un semplice foulard è davvero riduttivo, il Carré prende vita nel 1937, e dal primo esemplare “Jeu des omnibus et dame blanches” sono più di 2500 i disegni impressi sulla seta in vari formati: quello “classico” è 90x90, poi ci sono il gigante, 140x140; il quadrato tascabile, 45x45 cm; vintage,  70x70 cm; bandana, 55x55 cm e perfino rettangolare con il twilly nella misura 5x86 cm; il maxi-twilly 160x20 cm e, di recente aggiunta, il twillon nella misura 193x3 cm.

Il Carré da allora è diventato un imprescindibile dettaglio di stile, immediatamente riconoscibile ed estremamente duttile – foulard, cintura, pareo, top – che Barret ben conosce e con cui si cimenta da quando Pierre-Alexis Dumas (direttore artistico di Hermès) nel 2003 le chiede di disegnare una collezione. Ma partiamo dall’inizio.

«Sono cresciuta a Parigi in una famiglia borghese, da genitori abbastanza diversi tra loro. Un padre banchiere molto serio, che mi ha trasmesso la parte classica della mia educazione, la cultura francese, la musica, i bei mobili, le collezioni di libri, se vogliamo parlare del lato estetico delle cose. Mia madre era più avant-garde, emancipata, libera già negli anni 70, mi ha aperto le porte dell’arte contemporanea, della fotografia, del design, della moda. Ho quindi ricevuto una doppia cultura, e oggi considero molto importante l’accademismo, mi aiuta nella creatività, per me è sinonimo di precisione, esperienza, equilibrio».

Ritratto di Bali Barret.
Ritratto di Bali Barret.
Liz Collins

Cresciuta con la fretta di diventare adulta, per poter finalmente scegliere cosa fare, a diciotto anni lavorava già, «un po’ a caso, stage, assistente stilista per la moda femminile, e poi disegnavo, dipingevo su tessuto. Così è stato per alcuni anni, mi piaceva e ho imparato molto. Ero in mezzo a gente che ‘sapeva’, osservavo tutto, ero una spugna. Ho capito allora che questo mestiere si impara ‘facendo’. Nella creazione le idee sono importanti, certo, ma bisogna sapere come realizzarle. Quindi pazientemente ho imparato, questo era l’obiettivo».

Finché nel 1998 crea il suo brand, per deduzione, guardando quello che facevano gli altri ma facendo quello che aveva voglia di fare. «È stato estremamente istruttivo. Ho imparato che cos’è il denaro, come funziona una struttura, un’équipe, come si realizza un vestito... un arricchimento, anche se molto faticoso».

Nel 2003, l’incontro ravvicinato con Pierre-Alexis Dumas, che le chiede di disegnare una collezione di Carré. «Sentivo una certa familiarità col brand, non sapevo precisamente cosa, forse perché sono parigina, forse perché oggetti di Hermès ne ho sempre avuti accanto a me fin da piccola, un foulard, una cravatta, un orologio... E poi mi sentivo vicina al loro approccio: il perfezionismo discreto, il dettaglio di una lavorazione, la meraviglia della finitura... Per Dumas il Carré aveva bisogno di un rinnovamento. Era considerato un accessorio molto classico e serviva un piccolo elettroshock per cambiarne la percezione. Mi trovavo di colpo catapultata su un terreno di giochi diverso dal mio, nuovo, proprio quello che cerco nella vita, un vero challenge. Il suo brief è stato: fai esattamente quello che pensi sia giusto, usa i materiali che ti piacciono, prendi i disegnatori che vuoi, disegna te stessa. Mi diede carta bianca, con un’unica condizione: si deve capire subito che si tratta di un Carré Hermès. Così ho fatto il giro degli atelier della seta, studiato gli archivi, assimilato quello che mi interessava. Ho messo tutto insieme e l’ho shakerato».

Carré 90 cm, double face, Della Cavalleria Favolosa, in twill di seta. Hermès @ Studio des Fleurs (recto).
Carré 90 cm, double face, Della Cavalleria Favolosa, in twill di seta. Hermès @ Studio des Fleurs (recto).

Da cosa si riconosce un Carré Hermès? «Domanda facile e difficile allo stesso tempo. Direi che la prima cosa è la seta. Abbiamo una bellissima seta. Ha una lucentezza e una trama molto particolari, che sono sempre identificabili. Non siamo gli unici a fare del twill di seta ma il nostro è forse il più bello. In secondo luogo direi la composizione nel quadrato, il Carré ha una forma difficile ma è molto interessante dal punto di vista compositivo. Quindi la precisione dei dettagli, come la finitura a mano con il nostro orlo arrotolato, e l’incredibile vocabolario del colore (oltre 75mila le tonalità, nda). E la generosità: osiamo ancora applicare 40 colori su un singolo pezzo!».

Per fare un Carré ci vogliono due anni. La fase dei disegni richiede tra i tre e i sei mesi, dal foglio bianco alla messa a colori. Poi da sei mesi e un anno per l’incisione, cioè la decomposizione del disegno, livello dopo livello come in una serigrafia. A Lione ci sono degli incisori che ridisegnano a mano il tutto per poter poi associare i colori. Quindi si fabbricano i telai per la stampa e si colorano i Carré grazie a una squadra di coloristi, e per questo servono altri sei mesi. Si fanno prove, rifacimenti, correzioni e migliorie. Con una palette da 10 a 12 variazioni di colore per ogni Carré.

Oggi il Carré è sempre attuale? «Sì, perché è universale, si indossa a qualsiasi età. È un oggetto eclettico, un grande cesto variegato di temi più tradizionali – l’equitazione, i cavalli, le briglie – come pure di fumetti realizzati da un giovane designer. Ci sono tutte le forme di scrittura, e il colore è un mezzo per legarle tra di loro, l’arma vincente che permette di riconciliare i vari linguaggi. Il Carré è un messaggero, ci permette di raccontare storie in modo narrativo, illustrativo ma anche in maniera più astratta, più geometrica, ci sono mille modi. Racchiude in sé un intento, un discorso, è il mondo dell’immaginario e vuole designer che abbiano questa predisposizione, questa facoltà di sognare, di raccontare... semplicemente. Sono dei poeti... Tutti diversi, ma tutti con questa capacità, e poi con una passione per il disegno che rasenta la pazzia. Quando uno ha una passione è un po’ pazzo, no? E questa pazzia ci accomuna, le nostre esigenze non sembrano folli per loro, semmai quando le ritengono folli, vuole dire che qualcosa non va!».

Carré 90 cm, double face, Della Cavalleria Favolosa, in twill di seta. Hermès @ Studio des Fleurs (verso).
Carré 90 cm, double face, Della Cavalleria Favolosa, in twill di seta. Hermès @ Studio des Fleurs (verso).

Ogni anno sono almeno 15 i nuovi disegni, ogni Carré ha una dozzina di combinazioni di colori e ogni collezione nuovi disegni, modelli classici e riedizioni ricolorate. Un lavoro complesso, soprattutto quando si pensa che ogni nuovo modello per arrivare in boutique impiega due anni. Che sono diventati una decina per il Carré double face, ultimo nato di questa primavera.

«Avevo scoperto in un surplus militare un foulard con mappe geografiche sui due lati, con linee di una estrema precisione, colore rosso, blu, verde e nero, così leggero veniva usato dai paracadutisti della Seconda guerra mondiale. I tecnici dell’atelier di Lione mi dicevano missione impossibile, non capiamo nemmeno come sia stato possibile realizzarlo... Poi, tre anni fa, una piccola luce nel buio, e l’inizio di un lunghissimo processo: all’inizio abbiamo provato ad adattare alla seta delle macchine di stampa su carta, poi altri tentativi, altri macchinari fino ad arrivare a qualcosa di completamente artigianale. Una volta messo a punto il procedimento (ovviamente top secret, nda), siamo passati alla scelta del disegno, e dei colori... Le prime prove erano proprio deludenti, tante aspettative ma risultati bruttissimi, poi… È come avere due cervelli per poter pensare a cosa succede e a quale possa essere l’interazione sui due lati nello stesso momento. Inoltre io volevo conservare lo stesso twill degli altri Carré Hermès, difficile visto che la seta è un materiale poroso, su cui gli inchiostri si mescolano, ma ecco qua, come comprare un foulard ma averne due».

In Italia, l’occasione di scoprire o riscoprire questo oggetto di culto è «la prossima apertura, e per quasi un anno di un temporary store a Roma in via Condotti, interamente consacrato al Carré. Una boutique della seta diversa dalle altre, colorata e divertente, nella quale poter esprimere in modo più personale i mondi femminile e maschile».

Carré 90 cm, double face, Wow, in twill di seta. Hermès @ Studio des Fleurs (verso).
Carré 90 cm, double face, Wow, in twill di seta. Hermès @ Studio des Fleurs (verso).

Quest’inverno si è poi tenuta la prima edizione del premio Hermès per il disegno, il Grand Prix Hermès du Carré, che nelle intenzioni si dovrebbe tenere ogni due anni. Dedicato ad artisti, illustratori, studenti di arte del mondo intero, ha assegnato i suoi premi appena prima del lockdown; i disegni vincitori diventeranno Carré nell’estate 2021. «È stato un grosso lavoro, che ha avuto una risposta straordinaria, che ci ha permesso di incontrare gente formidabile e tenere viva oggi quella che chiamo l’energia del disegno». Quella straordinaria arma a disposizione di chi sa sempre reimmaginare il mondo.

L'intervista che leggete è stata fatta prima che Bali Barret presentasse le dimissioni. 

In apertura: si chiama “Wow” il Carré Double disegnato da Ugo Bienvenu. Il Carré Double è l’ultimo nato dei famosi foulard di Hermès e la stampa sui due lati è ispirata alle mappe su seta, leggere e poco ingombrati, utilizzate dai paracadutisti della Seconda guerra mondiale.

Da Vogue Italia, n. 839, luglio/agosto 2020



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