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Questa Non È Una Fotografia Di Moda. Bill Hayes

All’inizio del suo nuovo libro, How We Live Now, lo scrittore e fotografo newyorkese Bill Hayes fa una lunga lista delle cose che vuole ricordare. Cose qualsiasi, che ora sembrano proibite, se non impossibili. «L’ultima volta che ho stretto la mano a uno sconosciuto, l’ultima volta che sono andato in palestra... che sono andato a nuotare... che ho preso la metro... che ho preso un aereo... che ho baciato qualcuno... che ci sono andato a letto... che ho passato una canna... che sono andato al ristorante... che ho condiviso un ascensore senza preoccuparmi... che non avevo paura... che non ero spaventato come lo sono ora». Per chiunque abbia vissuto questo periodo insieme terribile e chiarificatore, è un elenco del tutto familiare. Come aveva già dimostrato con Insomniac City, il suo precedente memoir con fotografie, Hayes ha la capacità di aprire la particolarità della sua esperienza fino a farcene sentire parte.

Ha iniziato How We Live Now – in uscita in agosto per Bloomsbury con il sottotitolo Scenes from the Pandemic – a metà marzo, quando New York è entrata in quarantena. Lo ha chiuso con un post scriptum circa 100 giorni più tardi, quando la città, alla vigilia di una riapertura graduale, era galvanizzata, e quasi paralizzata, dalle manifestazioni contro la violenza della polizia.

“A Kiss at the Farmer’s Market”, 11 Aprile 2020, immagine di Bill Hayes da “How We Live Now” (Bloomsbury).
“A Kiss at the Farmer’s Market”, 11 Aprile 2020, immagine di Bill Hayes da “How We Live Now” (Bloomsbury).
Bill Hayes 

Che usi un laptop o una macchina fotografica, Hayes è un osservatore acuto, sensibile al dolore, alla resilienza e allo spirito di New York e dei newyorkesi. Il suo libro – in parte memoir, in parte diario – è per lo più aneddotico, punteggiato da bollettini che seguono la nascita di una storia d’amore, ed è ispirato a una frase che il suo ultimo partner, lo scrittore e neurologo Oliver Sacks, ha detto poco prima di morire, nel 2015: «Il massimo che possiamo fare è scrivere – con intelligenza, creatività, senso critico, e in modo evocativo – di come sia vivere nel mondo di questi tempi». Hayes fa proprio questo, riuscendo a essere personale in modo intenso e toccante. Inserisce le sue liste di cose da fare e la sua routine di esercizi (per poi annotare che è stata quasi del tutto abbandonata) insieme a un inquietante conteggio quotidiano del numero di decessi per Covid-19 negli Stati Uniti.

Quello che chiama, fin dall’inizio, «uno sconvolgimento nell’universo», si manifesta in grande e piccola scala, ma soprattutto a livello della strada, dove Hayes continua a fotografare e a restare in contatto con i negozianti del quartiere, alcuni dei quali con il virus se la sono cavata per un soffio. Nonostante le foto di vie deserte e vagoni della metropolitana vuoti ci tocchino per la loro familiarità, il vero cuore emotivo del libro sono i ritratti di persone. Le immagini scattate prima della pandemia ricordano con quanta naturalezza un tempo uscivamo insieme e ci abbracciavamo. Ma la tenerezza rimane. La coppia qui sopra, intravista in aprile a un mercato biologico di quartiere, ha le mascherine abbassate per un bacio a riprova che, benché la città si fosse ritirata in se stessa, l’amore non chiude mai i battenti.

English text at this link. 

Vince Aletti è critico fotografico e curatore. Vive e lavora a New York dal 1967. Collaboratore di “Aperture”, “Artforum”, “Apartamento” e “Photograph”, è stato co-autore di “Avedon Fashion 1944-2000”, edito da Harry N. Abrams nel 2009, e ha firmato “Issues: A History of Photography in Fashion Magazines”, pubblicato da Phaidon nel 2019.

Da Vogue Italia, n. 839, luglio/agosto 2020



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