Simone Biles si ritira alle olimpiadi di Tokyo: ecco perché.
Le olimpiadi di Tokyo 2020 dicono addio a Simone Biles. Dopo un clamoroso ritiro nella gara a squadre, avvenuto letteralmente come un fulmine a ciel sereno a seguito di una prestazione decisamente sotto il suo livello abituale, ora arriva l'annuncio del ritiro della pluripremiata ginnasta dalle gare dell'all-around, il concorso generale.
Dopo un primo momento in cui si era parlato di un problema fisico alla caviglia, è stata la Federazione Usa a rilasciare un comunicato stampa in cui ha ammesso che il tema non è fisico bensì psicologico. "Dopo ulteriori valutazioni mediche, Simone Biles si ritira dalla gara dell'all-around per focalizzarsi sul suo benessere psicologico". Simone continuerà a valutare giorno per giorno se partecipare alle finali della prossima settimana che prevedono altre discipline individuali come le parallele o il corpo libero.
La campionessa statunitense di 24 anni quindi non ha retto al peso "del mondo" che lei stessa ha dichiarato di sentirsi sulle spalle. Un peso che sembra essersi trasformato in una pressione insostenibile che ha inchiodato Simone al suolo: proprio lei che era abituata a volare e volteggiare con una grazia fuori dal comune. Fuori da qualunque retorica, tuttavia, il tema rimane: ed è il tema della tensione a cui gli atleti, di ogni sport, di ogni realtà sono sottoposti. Una responsabilità che, nel caso di alcune discipline, rasenta l'insostenibile perché concentrata solamente in un evento, le olimpiadi, in cui ci si gioca tutto quanto. Un punto di arrivo di anni di sacrifici e allenamenti che devono trovare il loro compimento in una finestra di tempo estremamente limitata. Se poi alle olimpiadi si arriva da favoriti assoluti, con sulle spalle gli occhi del mondo, è facile che qualcosa si "rompa" dentro.
Simone Biles però non è la prima atleta a confrontarsi con un crollo delle energie mentali e nervose: come lei anche Michael Phelps ha sperimentato lo stesso peso tanto da lanciare un j'accuse indiretto ma comunque innegabile alla federazione USA. Il nuotatore che ha vinto tutto quello che si poteva vincere (28 medaglie di cui 23 d'oro) divenendo l'olimpionico più decorato della storia ha dichiarato: "Non è una situazione facile, soprattutto quando abbiamo i riflettori addosso e un carico di aspettative sopra di noi. Mi auguro che questa esperienza possa aprire gli occhi agli Stati Uniti sulla necessità di dare supporto psicologico agli atleti durante i Giochi".
D'altro canto non si può sorvolare sul fatto che nella sua strada da atleta Simone ha incontrato più ostacoli di quanti sarebbe lecito pensare: non solo si è trovata a dover dare il massimo in termini di costanza, della fatica e della dedizione ma ha dovuto anche superare il trauma terribile delle molestie: anche lei, come centinaia di altre atlete statunitensi, è stata infatti vittima del ex medico della federazione sportiva USA Larry Nassar, condannato a 176 anni con l'accusa di abusi sessuali. Un'esperienza terribile che sembra essere passata nel dimenticatoio generale ma che ben rappresenta la fatica, soprattutto psicologica, a cui Simone Biles è stata chiamata anno dopo anno per presentarsi sorridente e perfetta durante le gare. C'è poi da considerare che le atlete sono oggettivamente costantemente tenute sotto una pressione maggiore, fisica, mentale e anche comportamentale come la recente protesta delle ginnaste della federazione tedesca ha dimostrato.
E chissà che, davvero, Simone non possa essere protagonista di un altro risultato storico per lo sport, questa volta lontano dalla pedana e senza voti di una giuria.
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