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/ustica/ isola, strage

In mezzo al mare un’isola. Terra di ossa e pirati. Terra nera di vulcano circondata da abissi. Quarant’anni di depistaggi e processi hanno fatto sì che quando gli italiani pensano a Ustica la prima cosa che viene loro in mente sono i resti bianchi e rossi della fusoliera del DC-9. Può una bruttura arrivare ad inquinare il significato di una parola? Può la mala storia italiana deturpare il paesaggio, non solo fisicamente attraverso abusi edilizi ma anche culturalmente, rovinandone la sua immagine e quindi la sua idea?

La prima cosa che direbbe un usticese riguardo all’incidente aereo è che l’isola di Ustica non c’entra nulla, l’incidente è accaduto in mare aperto a 115 chilometri di distanza. Nei primi anni novanta il consiglio comunale ha addirittura approvato una mozione di protesta per i danni d’immagine all’isola apportati dall’attribuzione del disastro aereo a Ustica. Le narrazioni infatti si nutrono di luoghi e per “materializzarsi” nei nostri pensieri hanno bisogno di essere associate ad una realtà fisica. Ci sono altri incidenti tragici che sono collegati a toponimi geografici ma ci dimentichiamo più facilmente di quelli la qui dinamica è nota che quelli per i quali una verità soddisfacente non è mai stata raggiunta. Può essere che la continua serie di notizie e processi abbia in qualche modo causato una stigmatizzazione di Ustica isola. Un fenomeno collegato a quello che gli studi sociali e geografici definiscono “amplificazione sociale del rischio”, intendendo il ruolo che i media e le narrazioni pubbliche hanno nell’amplificare la percezione e la paura nei confronti dei luoghi e delle cause di incidenti o minacce.

Il sindaco dell’isola ogni anno, con l’avvicinarsi della ricorrenza, riceve telefonate di giornalisti che chiedono se l’aeroporto di Ustica è ancora in funzione oppure se qualche anziano si ricorda nulla di quella sera dell’incidente. Il volo era da Bologna a Palermo, nella piccola Ustica non c’è mai stato nessun aeroporto e ovviamente nessuno ha visto quello che è accaduto a più di cento chilometri di distanza. Non c’è nessun collegamento diretto tra isola e strage e sull’isola manca qualsiasi  monumento di commemorazione ma cercando accuratamente, nella memoria e nel paesaggio dell’isola, ci sono i segni di un profondo collegamento con la geopolitica del Mediterraneo che è stata il contorno che ha permesso alla strage, ai depistaggi e ai processi di diventare realtà. Tra questi il profondo legame con la Libia: dal 1911 e negli anni seguenti quasi mille deportati libici furono confinati sull’isola. E l’influenza americana: Ustica per trent’anni è stata l’isola del Baseball, lo sport introdotto ad Anzio subito dopo lo sbarco alleato nel 1944. 

Sono passati quarant’anni e ancora non esistono colpevoli per la strage di Ustica: Ignoti. Poiché un reato di strage non va mai in prescrizione, con l’emergere di nuovi elementi la magistratura è obbligata a continuare le indagini. Non si sa chi ma al come invece si è arrivati dopo diciannove anni di inchiesta. Dopo cinquemila pagine di perizie, la sentenza-ordinanza Priore conclude: il DC9 Itavia è stato abbattuto da un missile nel corso di un episodio di guerra aerea. Quale sia stata questa battaglia non è mai stato provato. La zona ricade sotto il controllo della Nato ma la presenza di aerei militari di altre forze non è da escludere visto il ritrovamento di un caccia militare libico e del corpo del suo pilota in Calabria nei giorni successivi.

L’idea è nata quasi per caso durante una vacanza sull’isola. Tutti gli amici, al telefono, mi chiedevano se ero lì per fare un lavoro sulla strage e preso dalla curiosità ho iniziato a domandare alla gente cosa ricordava della tragedia, notando quasi un certo fastidio tutte le volte che accostavo l’isola alla tragedia. Un giornalista scientifico usticese, Franco Foresta Martin, addirittura provato scientificamente l’estraneità dell’isola ai fatti (http://www.centrostudiustica.it/images/PDF/pdf-copertine-rivista-lettera/Lettera-N.42-43/L42-43_Altri_StrageITAVIA_ForestaMartin.pdf). La tematica era senza dubbio interessante e per dare rigore alla mia tesi mi sono rivolto a due geografi esperti di isole, Stefano Malatesta dell’Università di Milano-Biccoca e Arturo Gallia dell’Università Roma Tre, che attraverso i loro spunti mi hanno aiutato a costruire un linguaggio visivo: parlo della geografia dell’isola fatta di paesaggi e persone attraverso le foto a colori senza però voler dimenticare la strage che ripercorro attraverso immagini in bianco e nero, contrassegnate da coordinate perché sono altrove. È un processo di separazione dove nel mostrare la bellezza dell’isola voglio contrapporre e amplificare la memoria dell’orrore della strage. 

La serie /ustica/ isola, strage ha vinto il PHmuseum grant e sarà in mostra a Monopoli nell’ambito di PhEST - Festival internazionale di fotografia e arte che si svolgerà dal 7 agosto al 1 novembre 2020, totalmente all’aperto.

Bio

Jacob Balzani Lööv è fotografo italo-svedese. Ama le storie di persone fortemente legate a un luogo, sia questo un territorio conteso o una giungla tropicale. Il suo metodo è camminare: crede che per connettersi con un luogo bisogna misurarlo coi propri passi. Jacob vive tra Milano e il Monte Rosa. 
IG: https://www.instagram.com/jacob.balzani.loov/



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