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Questa Non È Una Fotografia Di Moda. Fabio Ponzio

Nel 1967, Cornell Capa ha introdotto la nozione di fotografo impegnato con una mostra, seguita l’anno successivo da un catalogo, entrambi dedicati «a quella fotografia che richiede impegno personale e interesse per il genere umano». Tra coloro che la praticavano, suo fratello Robert Capa, André Kertész, Leonard Freed e Werner Bischof. Nel 1974, anno in cui Cornell fonda l’International Center of Photography a New York, il suo secondo libro include, tra gli altri, anche Gordon Parks, Bruce Davidson, Marc Riboud, Ernst Haas e Roman Vishniac. I fotografi del gruppo di Capa consideravano il fotogiornalismo come una missione umanitaria, e vi si dedicavano come a un’arte. Il loro esempio ha fissato uno standard per quei fotografi che, con il loro lavoro, si impegnavano come testimoni nei confronti del mondo. 

Fabio Ponzio fa certamente parte di questa tradizione. Nato a Milano nel 1959, Ponzio ha lavorato negli anni 80 come fotoreporter freelance. Un soggiorno a Istanbul da adolescente aveva lasciato in lui un’impressione duratura: certo di avervi intravisto «l’inconscio dell’Europa, la sua anima oscura e profonda», si lascia di nuovo attrarre dalla città e nel 1987 la usa come punto di partenza di un’incursione, durata ben ventidue anni, nell’intero Est Europa. Di questo viaggio, quasi duecento fotografie in bianco e nero sono raccolte nel suo primo libro East of Nowhere

“Romania, 1998”, dal libro “East of Nowhere” di Fabio Ponzio (© Thames & Hudson/© Fabio Ponzio).

ROMANIA 1998

“Romania, 1998”, dal libro “East of Nowhere” di Fabio Ponzio (© Thames & Hudson/© Fabio Ponzio).
Fabio Ponzio

All’inizio, scrive Ponzio nella sua introduzione, gran parte del territorio da lui esplorato si trovava al di là della Cortina di Ferro, lungo «strade che portavano a terre proibite, sconosciute», dove le autorità erano diffidenti nei confronti degli stranieri, se non addirittura ostili. Viaggiando in macchina, con «un sacco a pelo, una tenda, un fornelletto a gas, una Leica, tre Nikon e 100 rullini di pellicola», ha costeggiato le grandi città e trascorso la maggior parte del suo tempo in villaggi rurali e operai in Albania, Armenia, Cecoslovacchia, Turchia, Russia e Polonia. Finché nel 1989, con la caduta del Muro e il rovesciamento dei regimi comunisti, «tutto è cambiato». 

Buona parte del suo libro è stata realizzata in questo mondo nuovo, in «un’atmosfera di incertezza e di speranza». Ma non c’è zona franca tra un prima e un dopo, qui; l’umore rimane cupo e angosciante, offuscato dalla povertà. Nella prefazione Herta Müller, Nobel per la letteratura nel 2009, scrive che i rumeni «non si aspettano nulla dalla vita, neppure di riuscire a sopravvivere». Repressione, superstizione, corruzione e paura hanno martoriato tutta l’Europa orientale. 

Ponzio è sensibile al trauma di questi popoli e ne ammira la resistenza, «una forza elementare, che sopravvive a tutto e trae forza da qualsiasi cosa». La foto qui sopra è stata scattata in Romania nel 1998 – non ci sono altre informazioni. Se la ragazzina, dall’aria così composta, sta festeggiando la sua Prima Comunione, è stata chiaramente istruita circa la solennità della circostanza. Eppure nei suoi occhi c’è una scintilla di determinazione che attinge alla forza di cui parla Ponzio. È un angelo ben radicato, con i piedi per terra; anche se le sue rose di plastica si creperanno fino a sbriciolarsi, saprà sopravvivere.

Vince Aletti è critico fotografico e curatore. Vive e lavora a New York dal 1967. Collaboratore di “Aperture”, “Artforum”, “Apartamento” e “Photograph”, è stato co-autore di “Avedon Fashion 1944-2000”, edito da Harry N. Abrams nel 2009, e ha firmato “Issues: A History of Photography in Fashion Magazines”, pubblicato da Phaidon.

Da Vogue Italia, n. 838, giugno 2020


English Text

Cornell Capa introduced the notion of the concerned photographer with an exhibition in 1967 and a catalog the following year, both dedicated “to photography which demands personal commitment and concern for mankind.” Among its practitioners were his brother Robert Capa, André Kertész, Leonard Freed, and Werner Bischof. In 1974, the year Cornell founded the International Center of Photography in New York, his second book acknowledged Gordon Parks, Bruce Davidson, Marc Riboud, Ernst Haas, and Roman Vishniac, among others. Capa’s cohort took up photojournalism as a humanitarian mission and practiced it as an art. Their example set a standard for working photographers who engaged with the world as witnesses. 

Fabio Ponzio is clearly part of this tradition. Born in Milan in 1959, Ponzio worked for most of the 1980s as a freelance photojournalist, but a visit to Istanbul as a teenager had left a lasting impression. Convinced he’d glimpsed “the European unconscious; her deep, dark soul,” he was drawn back to Istanbul and in 1987, he used that city as a jumping-off point for what became a 22-year foray into the whole of Eastern Europe. Nearly two hundred black-and-white photographs from that journey are collected in East of Nowhere (Thames & Hudson), Ponzio’s remarkable first book. 

At the beginning, Ponzio writes in his introduction, much of the territory he explored was beyond the Iron Curtain, down “roads that ran into unknown, prohibited lands” where the authorities were wary of, if not hostile to, outsiders. Traveling by car and supplied with “a sleeping bag, a tent, a gas stove, a Leica, three Nikons, and 100 rolls of film” he skirted cities and spent most of his time in rural villages and working-class towns in Albania, Armenia, Czechoslovakia, Turkey, Russia, and Poland. But in 1989, as the Berlin Wall fell and communist regimes began to topple, “everything changed.” 

The bulk of Ponzio’s book was made in this new world, in what he describes as an “atmosphere of uncertainty and expectation.” But there’s no clear before and after here; the mood remains dour and anxious, shadowed by poverty. In her foreword, Herta Müller, the Romanian-born novelist who won the Nobel Prize for Literature in 2009, writes that Romanians “don’t expect anything from life, not even that they will survive it.” Repression, superstition, corruption, and fear have taken their toll on all of Eastern Europe. 

Ponzio is sensitive to its people’s trauma and admires their endurance – “an elemental strength that survives everything and draws strength from everything.” The photograph above was taken in Romania in 1998 but Ponzio supplies no other information. If the self-possessed young girl in the picture is celebrating her First Communion, she’s clearly been instructed in the gravity of the occasion. But there’s a spark of determination in her eyes that taps into the strength Ponzio describes. She’s an earthy, grounded angel; even if her plastic roses crack and crumble, she will survive.

Vogue Italia, n. 838, June 2020



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