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L’Artico ha raggiunto i 38°. Noi che cosa possiamo fare?

In questo momento, l’Artico sta sperimentando una disastrosa ondata di caldo, con temperature che hanno raggiunto la massima record di 38°, il che significa che questo mese è stato più caldo che a Barcellona, Los Angeles e Rio de Janeiro. Tale temperatura è stata registrata nella cittadina russa di Verkhoyansk, nel nord-est della Siberia, lo scorso sabato 20 giugno.

Questo non è affatto uno scherzo della natura; anzi, gli scienziati affermano che l’attuale ondata di caldo che ha colpito l’Artico è senza precedenti, il che ci ricorda quanto urgente sia la questione del riscaldamento globale. Non solo, l’aumento delle temperature ha causato diversi incendi incontrollati nella regione.

Nonostante la pandemia da Covid-19 e le proteste contro l’ingiustizia razziale in tutto il mondo, non dobbiamo dimenticare che ci troviamo ancora nel bel mezzo di una crisi climatica. Ecco di seguito tutto ciò che dobbiamo sapere sull’attuale ondata di caldo artica.

Cosa sta causando l’ondata di caldo nell’Artico?

Le ondate di caldo nell’Artico si verificano “a causa di ampi cambiamenti in direzione settentrionale della corrente a getto che porta l’aria tiepida verso l’estremo nord e la mantiene qui da giorni fino a settimane”, spiega a Vogue Jennifer Francis, senior scientist presso il Woods Hole Research Center. Ma con le emissioni di gas a effetto serra che crescono di anno in anno, l’aria è sempre più calda che in passato, incrementando di conseguenza l’intensità di queste ondate.

Inoltre, per via del riscaldamento globale, la neve nell’Artico si sta sciogliendo sempre con più anticipo a primavera. “Questo va scoprire una superficie più scura che assorbe la luce del sole e il calore più velocemente, rendendo più intensa l’ondata di caldo”, commenta Francis.

L’ondata attuale rispetto a quelle degli anni precedenti

Purtroppo, stando a quanto riporta il Servizio relativo ai Cambiamenti climatici Copernicus dell’UE, a maggio, le temperature medie nella regione artica erano fino a 10° superiori alla norma. All’inizio di questo mese, le temperature hanno raggiunto i 30° nella cittadina di Nizhnyaya Pesha, un valore significativamente più alto rispetto alla media dei 14° tipica di questo periodo dell’anno. Allo stesso modo, i 38° registrati a Verkhoyansk sono molto al di sopra della temperatura elevata media di 20° per il mese di giugno e, se confermata, batterebbe il record precedente di 37.7° stabilito a Fort Yukon, in Alaska, nel 1915.

“Raggiungendo i 38°, questa ondata di caldo non ha semplicemente battuto un record, l’ha sbaragliato”, afferma Francis. “La presente ondata continua un trend attualmente in corso di un rapido surriscaldamento delle regioni artiche. La zona ha registrato temperature molto tiepide durante la maggior parte dell’inverno”.

Il fenomeno si verifica dopo che il 2019 era stato il secondo anno più caldo nell’Artico sin dal 1900 con temperature che, a luglio dell’anno scorso, avevano raggiunto nel paesino svedese di Markusvinsa i 34.8°.

Gli incendi a Melnichnaya Pad, Russia, maggio 2019.

Wildfire in Irkutsk Region, Russia

Gli incendi a Melnichnaya Pad, Russia, maggio 2019.
Photography Getty Images

Come mai ci sono incendi nell’Artico?

Oltre all’ondata di calore, questo mese si è verificato un crescente numero di incendi osservati attraverso immagini satellitari e gli scienziati ritengono che la loro intensità potrebbe essere superiore a quella degli anni precedenti. Ma cosa causa gli incendi? “In generale, sono causati da fulmini o dall’essere umano”, spiega Jessica McCarty, professore assistente in geografia presso l’Università di Miami. “L’ondata di caldo fa seccare gli alberi, l’erba, il muschio e il terreno, rendendoli maggiormente suscettibili di prendere fuoco e alimentarlo”.

Gli incendi artici costituiscono un problema in quanto possono aggravare ulteriormente il riscaldamento globale e mettere a rischio la fauna selvatica locale. “Gli incendi che avvengono vicino o sul permafrost possono deteriorarlo ulteriormente, rilasciando gas a effetto serra ancora più potenti”, continua McCarty. “Una volta che il permafrost si è sciolto, può seccarsi e prender fuoco, causando ulteriori roghi e scioglimenti. È un circolo vizioso”.

Che impatto può avere l’ondata di caldo?

Sappiamo tutti che lo scioglimento dei ghiacciai porta all’innalzamento del livello dei mari e che l’ondata di calore che stiamo osservando nell’Artico non aiuta di certo la situazione. “Il riscaldamento e lo scioglimento rapido dell’Artico è qualcosa che tocca tutti. Intensifica il surriscaldamento globale, accelera l’aumento del livello del mare e causa mutamenti nei pattern metereologici”, afferma Francis.

La calotte glaciale della Groenlandia si sta sciogliendo a un ritmo sette volte più elevato rispetto agli anni 90 mentre un report del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico pubblicato a settembre 2019 riferiva che i livelli del mare stanno aumentando in maniera più veloce rispetto a quanto previsto, mettendo le isole basse e le città costiere più a rischio di inondazioni.

L’aumento delle temperature nell’Artico costituisce un problema enorme per la fauna selvatica che dipende dal ghiaccio, distruggendo il loro habitat e interrompendo il loro approvvigionamento alimentare. Anche le comunità locali che vivono nel circolo polare artico ne risentono in maniera significativa in quanto sia la caccia che la pesca diventano più difficili.

Un orso polare sui ghiacci nelle Svalbard, Norvegia.

A polar bear (Ursus maritimus) on the pack ice north of

Un orso polare sui ghiacci nelle Svalbard, Norvegia.
Photography Getty Images

E quindi, noi cosa possiamo fare?

Si tratta dell’ennesimo campanello d’allarme che ci mostra quanto sia necessario e urgente contrastare la crisi climatica. “Occorre fare qualsiasi cosa è in nostro potere per rallentare il riscaldamento e lo scioglimento dei ghiacci; questo ne attenuerà le conseguenze per le comunità locali e mondiali”, afferma Francis. Prendere le distanze dai combustibili fossili è un altro passo essenziale: “Significa ridurre drasticamente le nostre emissioni di gas a effetto serra e sviluppare tecnologie in grado di rimuovere il diossido di carbonio dall’atmosfera. Le conoscenze ci sono, manca la volontà politica”.

Questo significa che è ancora più importante fare pressione sui nostri politici, sia scrivendo loro direttamente sia, in tempi di pandemia, partecipando a proteste virtuali online, e supportare associazioni ambientaliste come Greenpeace, il WWF e Ocean Conservancy, che stanno portando avanti una campagna per il cambiamento. Una cosa è certa: non abbiamo più molto tempo.



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