Luka Sabbat: tra Grown-ish e lo Chateau Marmont
Una conversazione con Luka Sabbat
di Liam Freeman
Con il primo ruolo in un film per il cinema in I morti non muoiono di Jim Jarmusch e la seconda stagione della sitcom Grown-ish, il 2019 può considerarsi l’anno in cui Luka Sabbat si è consolidato come attore, liberandosi così del fumoso appellativo di ‘influencer’ che tanto spesso gli attribuiscono ma a cui lui guarda con scetticismo. Quando Vogue l’ha incontrato nel suo hotel di Miami, l’attore 22enne aveva un lieve luccichio di ombretto metallico intorno agli occhi che gli era rimasto dalla sera prima alla sfilata Pre-Fall 2020 di Dior uomo – un look creato appositamente per lui dal make-up artist Peter Phillips per accompagnare l’abito di lana e seta grigio disegnato da Kim Jones che indossava. “Volevo essere virile ma anche favoloso e sexy – non è per questo che la gente si trucca?” riflette. “Mi hanno fatto un occhio [effetto] livido, ma sofisticato. Non voglio fare troppo; non sono uno che si mette il rossetto o il fard, bastano gli occhi, sono la parte più espressiva del viso.”
Oltre a recitare, Sabbat s’interessa d’arte. Ha detto di aver appena visto il suo dipinto preferito – New England Nurse di Richard Prince – al nuovissimo Rubell Museum di Miami, appena aperto, e ha in programma di andare a vedere i mobili disegnati dal suo amico Virgil Abloh presentati da Carpenters Workshop Gallery alla Design Miami. Due nomi buttati lì che accennano a quello che Sabbat ha all’orizzonte.
A cosa stai lavorando in questo momento?
«Mi sto occupando di una mostra [che aprirà durante la fiera d’arte Frieze Los Angeles, a febbraio] nella mia stanza allo Chateau Marmont. Abito lì da quasi tre anni e nell’ultimo anno ho lavorato con diversi mezzi espressivi, dagli specchi ai dipinti alle sculture, [rappresentando] la mia vita – i ricordi, le persone, le cose che mi sono successe – in forma fisica. Inviterò la gente a vederla invece di aprirla al mondo».
Lo Chateau Marmont è un indirizzo niente male, come ti sei trovato a vivere lì?
«Una volta un cliente mi ha prenotato una camera lì e ho pensato che fosse l’hotel più fantastico del mondo. Ho giurato che non sarei mai andato in nessun altro hotel a Los Angeles, e non l’ho fatto. Quando mi sono trasferito a Los Angeles per girare la prima stagione di Grown-ish, ho pensato di stare lì finché non avessi trovato un alloggio, ma non me ne sono più andato. Le case a Los Angeles sono tutte fuori mano, super isolate, e io sono un newyorkese, sono abituato a stare in mezzo alla gente. [Lo Chateau] è come fosse il mio quartiere, quelli che ci lavorano sono tutti amici».
Ti definiscono spesso un influencer, che ne pensi di questo termine?
«Caspita, non mi piace proprio. All’inizio andava bene, mi hanno definito un influencer molto presto, quando avevo 18 anni e il New York Times ha fatto una storia su di me. Ma se chiedeste una job description a molti di questi cosiddetti influencer, non saprebbero cosa dire. Io faccio un sacco di cose per ‘influenzare’, recito, lavoro con gli amici stretti delle case [di moda], voglio rilanciare Hot Mess [il mio studio creativo]. È difficile distinguere un influencer da uno che fa delle cose e ha un sacco di follower. Ma ci sono persone che hanno molti più follower di me».
Sì, ma due milioni di follower sono comunque un’impresa non da poco. Cosa credi che piaccia alla gente di quello che posti?
«I miei follower sono aumentati man mano nel tempo, in modo naturale, perché non ho mai avuto intenzione di fare niente su Instagram. Un amico mi ha creato il profilo al secondo anno di liceo e ho pensato ‘Ci metterò i miei vestiti e farò vedere alla gente quello che sto facendo’. Ci ho messo quattro o cinque anni per arrivare fin qui ma non è impossibile. Ero proprio un ragazzo come tanti che andava alla scuola pubblica nel Lower East Side e ha fatto pratica da Vfiles; sono accessibile, sono una persona normale».
Possiedi un’invidiabile collezione di capi d’archivio, chi sono i tuoi designer preferiti e cosa ti piace del loro lavoro?
«Ho appena aggiunto uno dei top grembiule originali di Seditionary del 1974, di Vivienne Westwood, e dei pantaloni oversize di Raf Simons del 2004. Mi piace il lavoro di Westwood perché è legato a uno stile molto particolare, a un certo tipo di musica, con Malcolm McLaren [ex compagno di Westwood] che faceva il manager dei Sex Pistols e disegnava i vestiti per loro. Nessuno prima si era mai vestito in quel modo. Era un approccio molto fai da te - top fatti con le federe dei cuscini; il motivo per cui tanti dei disegni sono della stessa misura è perché li stampavano in cucina usando lo stesso screen.
Anche Kim [Jones] ha una collezione fichissima di roba di Seditionary. Kim va sempre dove c’è energia, quindi si capisce perché Miami [per la sfilata uomo Pre-Fall 2020] con tutte le stampe di palme di Shawn Stussy e l’atmosfera da surfisti. Mi piace come Kim sta contribuendo a far diventare lo streetwear e l’alta moda una cosa unica. Alla fine della fiera derivano l’uno dall’altra – lo streetwear ha stracciato l’alta moda e si è preso gioco di lei; l’alta moda è sempre stata snob come se fosse superiore, ma gli rubava i disegni e i modelli. Oggi vedi dei ricchi quarantenni indossare i bucket hat Stüssy con le Jordan e dici, ‘aspetta, non vestivi Brioni e Loro Piana due anni fa?’. È il massimo appartenere a questa epoca, mi immagino tra qualche anno a guardare le creazioni di adesso nello stesso modo in cui guardo questi pezzi d’archivio, ricordando il tempo in cui lo streetwear e l’alta moda si sono uniti».
Hai uno stile molto personale, unico. Quali sono secondo te gli errori comuni che le persone fanno nel vestirsi?
«Se un brand che mi piace fa una schifezza, non me la metto. E non metto nulla con cui non mi sento perfettamente a mio agio. Il mio stile deriva dalla ricerca – andare in Giappone e trovare brand come The Soloist, musica, film, un bell’outfit che ho visto addosso a un attore all’aeroporto qualche anno fa – non è mai copiare e basta. Con tutti questi influencer e il fatto che su Instagram puoi comprare un look completo un minuto dopo che qualcuno ha postato una foto di quel look, copiare è troppo facile. Ricordate quando abbiamo visto le Triple S di Balenciaga per la prima volta? Era una scarpa pazzesca ma è stata ingigantita troppo. Io ho un legame con i miei vestiti, troppa gente si limita a comprare qualunque cosa sia attuale e cool.”
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