Quando un'attrice diventa principessa: lo stile iconico di Wallis Simpson, Grace Kelly e Rita Hayworth
Attrici & principesse: le royals più glamour di sempre
Le famiglie reali hanno alimentato nei secoli sogni e visioni romantiche da cui sono nati film, romanzi e opere teatrali. Narrazioni profetiche, che nei proverbiali romance tra royals e ragazze della porta accanto hanno tratteggiato gli amori di Kate Middleton, Letizia Ortiz e Meghan Markle. Quando poi la corte incontra il red carpet tramutando l'attrice in principessa, allora l'ammirazione e l'interesse aumentano in modo esponenziale. Cinema e nobiltà è una combinazione degna delle favole più ambiziose, che per tre celebri personaggi si è tramutata in quotidianità. Sono Wallis Simpson, Grace Kelly e Rita Hayworth, dive la cui vita supera l'interpretazione, storie senza copione al cui confronto il cinema hollywoodiano sembra un gioco da principianti. Diventate consorti di sovrani e principi, hanno però lasciato una parte di sé lungo i boulevard californiani, rinunciando allo stile glamour e sfarzoso del jet set per adottare il rigore formale delle royal lady. Attraverso dettagli e curiosità, ecco come si è evoluto il loro guardaroba.
Wallis Simpson: la regina di stile del Novecento
Ben poche sono le testimonianze cinematografiche riguardanti la carriera di Wallis Simpson come attrice. Più numerose sono certamente le produzioni biografiche dove appare il suo personaggio, da Il Discorso del Re di Tom Hooper a The Crown di Peter Morgan, ma ciò non toglie che la socialite più controversa del Novecento abbia percorso le strade di Hollywood da protagonista. Consorte di re Edoardo VIII, che per lei rinuncia al trono di Inghilterra in favore del fratello, Giorgio VI, Wallis è considerata una delle donne più eleganti dell'epoca, detentrice del titolo di Best Dressed di Time Magazine per ben dieci anni. «Non sono una bella donna. Quindi l’unica cosa che posso fare è vestirmi meglio di chiunque altro».
Un diktat più che una dichiarazione di consapevolezza estetica, mantra che Wallis segue scrupolosamente nell'architettare mise impeccabili e, ironicamente, degne di una regina. Se il suo stile precedente non lascia traccia negli annali del buon gusto, quello successivo alle nozze è un trionfo di haute couture. Christian Dior la annovera fra le sue clienti preferite, Elsa Schiaparelli e Salvador Dalì realizzano per lei il celebre abito ‘Aragosta’ sfoggiato su Vogue nel 1937 e immortalato da Cecil Beaton, mentre Hubert de Givenchy lavora durante la notte per confezionare abito e cappotto neri da lei indossati al funerale del marito.
Duchessa di Windsor ma al contempo svincolata dal regime d'abbigliamento di corte in seguito all'abdicazione di Edoardo, Wallis dagli occhi blu dà vita col suo nome a un colore che ne riprende la tonalità dell'iride (noto come Wallis Blu), spende e spande in abiti e gioielli, sfoggia Cartier, diamanti e zaffiri, portando oggi lo stilista Roland Mouret a dichiarare «Non puoi lavorare nella moda e non lasciarti ispirare dalla vita e dal guardaroba di Wallis Simpson. O la ami o la odi, ma il mondo è ancora ossessionato da quella donna».
Grace Kelly: la perfetta eleganza monegasca
Non di rado Hollywood ha accolto donne dallo stile sublime, ma la perfezione lambita dall'eleganza di Grace Kelly è inarrivabile. Impeccabile e priva della patina artefatta di chi si immedesima nel ruolo della diva, Grace è star per natura e con la stessa naturalezza stringe l'oro dell'Oscar e dello scettro monegasco. Diventata principessa di Monaco nel 1956 in seguito alle nozze con il principe Ranieri III, Grace rinuncia a una carriera in continua ascesa per adeguarsi ai dettami di corte, un prezzo sottolineato dal drastico cambio di guardaroba.
Spalle scoperte, corpetti ricamati di cristalli e gonne a corolla sono emblema del suo stile cinematografico, con creazioni Helen Rose indossate tanto sul set quanto sul tappeto rosso. Un eccesso che definiremmo degno dei royals, ma che al contrario si tramuta in un lussuoso riserbo una volta ricoperto il titolo regale. Le spalle si coprono, il ricamo diventa monocromatico, la silhouette si assottiglia in favore di una linearità midi, il tubino segue il long dress mentre guanti e foulard nascondo parure di gioielli in un gesto di obbligata modestia.
C'è lo sfarzo qualitativo, con abiti creati per lei dalle più grandi maison del mondo, ma l'opulenza di forma svanisce in favore dell'etichetta. Il risultato? Un cambiamento drastico ma appena percepibile in termini di raffinatezza, con due Grace impeccabili che si susseguono dal mare della California alla Costa Azzurra.
Rita Hayworth: la principessa medio-orientale
Capelli di fragola e vita da vespa per l'attrice cui va il merito di aver fatto dello stile a sirena e della “vague” da odalisca un canone. Rita Hayworth è chiamata la rossa, la pin-up, è nota come Gilda, nome del suo personaggio più iconico nell'omonimo film di Charles Vidor (1946), ma da pochi è conosciuta come la principessa consorte Aga Khan, Altezza Reale degli Ismailiti. È il 1949 quando l'attrice, reduce dal divorzio con il regista Orson Welles, sposa l'imam Aly Khan, acquisendo il titolo di principessa.
Un'unione scabrosa e demonizzata, condannata dallo stesso papa Pio XII per il ruolo predominante del Khan nel mondo islamico, che spinge la Hayworth ad abbandonare Hollywood in favore del sontuoso palazzo di Pune, viaggiando fra l'India e il Pakistan fino al 1953, anno della separazione. Nella sua parentesi principesca, Rita conosce il lusso di un lignaggio antichissimo, vivendone al tempo stesso la cultura e i limiti imposti all'abbigliamento. Niente più sirene, décolleté incorniciati da scolli a cuore o boccoli morbidi, ma solo tailleur di taglio militare, colori scuri e tessuti spessi, che rinnegano la sensuale leggerezza hollywoodiana in favore di una rigidità tradizionale.
Quasi come una rinascita dalle ceneri di un matrimonio fallito, Rita è l'unica delle attrici-principesse a vivere un'inversione di rotta, tornando sui suoi passi e nel suo vecchio camerino, indossando di nuovo vistosi costumi di scena. Paradosso più che mera coincidenza, il primo ruolo interpretato dopo il divorzio è quello di Salomè nella pellicola di William Dieterle (1953), dove veli semitrasparenti, colori vividi e ricami dorati esaltano agli estremi la cultura mediorientale, in una contemporanea celebrazione del corpo femminile.
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