Moda etica: il brand Endelea tra Italia e Tanzania
Moda etica: un brand da conoscere è Endelea.
Endelea è un brand etico e sostenibile dall'idea di Francesca De Gottardo che nel 2018 inizia a creare collezioni dal design made in Italy in tessuti wax africani. L'Italia incontra la Tanzania nelle collezioni di moda etica di Endelea, perché sono disegnate a Milano e fatte a mano a Dar es Salaam per contribuire allo sviluppo di una vera e propria industria della moda in Tanzania.
In questa intervista Francesca De Gottardo, CEO & Co-founder di Endelea ci racconta la storia del brand.
Perché hai deciso di creare il tuo marchio? Quali sono le tue esperienze precedenti nella moda?
Dopo più di 3 anni come social media manager in brand come Furla, prima, e Dolce e Gabbana, poi, ho sentito l’esigenza di creare qualcosa di mio che avesse una forte attenzione alla sostenibilità. Volevo mettere le persone al centro della proposta di valore di un marchio di moda, creando un brand che avesse sì un’estetica e una qualità alta, ma anche e soprattutto un impatto positivo sulla vita delle comunità lungo la supply chain.
L’obiettivo di un capo Endelea è creare valore non solo per la cliente finale, ma per tutte le persone coinvolte nella sua produzione, dalla designer alla sarta tanzaniana che ne cura nei dettagli la realizzazione.
Perché hai scelto il nome "Endelea"? Cosa significa il claim "dream bold" per te?
“Endelea” è un verbo che in Swahili significa letteralmente “continuare a camminare, andare avanti senza fermarsi”. L’ho scelto perché riusciva a combinare un suono dolce e femminile a un significato molto forte e connesso con lo spirito del progetto, che è pensato per le donne coraggiose, sia in Africa sia in Europa.
In questo senso, il Dream Bold del pay off è fondamentale per completare la frase: continua a sognare in grande, non farti scoraggiare dalle difficoltà. Credo che molto spesso corriamo il rischio di farci spaventare dai nostri sogni, mentre quella paura è proprio il segnale che stiamo andando nella direzione giusta. Significa che quel progetto è importante per noi, e che ha un potenziale grande. Come dicono, “if your dreams don’t scare you, they’re not big enough”.
Qual è l'etica del tuo marchio?
Endelea è un progetto di moda etica che ruota intorno alle persone. Vogliamo creare un ponte che unisca Europa e Africa, Milano e Dar es Salaam. Questo ponte si percorre in entrambi i sensi ed è uno scambio costante di competenze e conoscenze.
Le nostre collezioni sono disegnate e rese prototipo in Italia, ma vengono realizzate in Tanzania da un team di sarte locali che lavorano fianco a fianco con le nostre modelliste e imparano man mano a usare i cartamodelli e a far nascere economie di scala per ottimizzare anche le loro professioni.
Lavoriamo in massima trasparenza, raccontando le storie di queste persone sui nostri canali online e scambiando con loro esperienze che vanno anche oltre gli orizzonti della moda: discutiamo di politica, di religione, di diritti umani e inclusività, in un paese in cui l’omosessualità è un reato e le donne sono nella stragrande maggioranza dipendenti dai mariti. Riduciamo a zero il gender pay gap e cerchiamo di retribuire tutto team con stipendi più alti della media tanzaniana. Per il prossimo anno, vorremmo garantire a tutte un’assicurazione sanitaria. Un passo alla volta, cresce insieme a noi anche il nostro impatto nel Paese.
Che tipo di materiali e tecniche usi?
Le nostre prime quattro collezioni sono tutte realizzate in tessuti wax. Li scegliamo tra le infinite fantasie disponibili a Dar es Salaam, cercado di supportare i piccoli business locali. Per questa prima collezione invernale, abbiamo collaborato con una sartoria sociale in provincia di Milano per realizzare delle giacche reversibili e trapuntate, combinando il wax con un’imbottitura in fibra derivata dal riciclo di bottiglie PET.
Stiamo facendo un percorso di crescita insieme alle nostre sarte, introducendo man mano nuove lavorazioni e tecniche anche in Tanzania, e per la collezione Primavera Estate 2021 stiamo preparando delle sorprese. Per la prima volta introdurremo un nuovo tessuto, il kikoi, che è 100% tanzaniano e tradizionale: si tratta di un filato a telaio, realizzato in cotone organico da una signora, Mama Kishimbo, che manda avanti una piccola cooperativa al femminile. Una scelta che più Slow Fashion di così non si può e di cui siamo davvero molto fiere.
Ci racconti come i tuoi sforzi stanno creando un sistema moda in Tanzania? Come mai hai scelto la Tanzania?
Abbiamo scelto di iniziare dalla Tanzania perché è uno dei paesi in Africa in cui la moda non esiste ancora come industria affermata. La maggior parte dell’abbigliamento viene importata dalla Cina o di seconda mano dall’Europa e le università e le scuole non offrono corsi di studio specialistici ai giovani che vogliono invertire la rotta e iniziare una propria attività nel settore. I sarti non sanno utilizzare i cartamodelli e lavorano ancora con il gesso e le misure del singolo cliente: mancano proprio le competenze tecniche che potrebbero far nascere un cambiamento economico e di mentalità nel paese.
Endelea ha scelto di partire dalla formazione. Utilizziamo una parte dei ricavi per sponsorizzare borse di studio e organizzare corsi di fashion design e fashion business per gli studenti tanzaniani che hanno il Bold Dream di diventare designer e imprenditori nella moda.
Siamo ancora molto giovani, ma abbiamo organizzato ad oggi 8 workshop, concentrandoci non solo sulla modellistica, ma anche su altri temi - come marketing e ricerche di mercato, design, social media e protezione del marchio - tutti fondamentali per creare le competenze di nuovi giovani imprenditori.
Il covid ha insegnato una volta per tutte il potenziale del digitale, per cui stiamo preparando una proposta di corsi online tenuti da professionisti italiani e europei per l’Università di Dar es Salaam, sperando di raggiungere ancora più studenti e aumentare sensibilmente il nostro impatto.
Cosa significa per te sostenibilità? Come la vivi nella tua vita?
Sostenibilità per me significa fare attenzione. Se tutti noi come consumatori e esseri umani prestassimo più attenzione ai nostri gesti, scopriremmo che hanno tutti un impatto sull’ambiente e sulla vita degli altri, e che soprattutto molto spesso basta pochissimo per iniziare un cambiamento positivo.
Che si tratti di sostituire i dischetti di cotone con le pezze lavabili, di eliminare le bottiglie di plastica a favore della caraffa filtrante, di fermarsi a donare 1€ a chi ne ha bisogno per strada o di scegliere una non-profit da supportare tutti i mesi - sono tutte azioni piccole che mi costano pochissimo sacrificio, ma che collettivamente contribuiscono a migliorare le cose. Questa è la sostenibilità nella mia vita, insieme alla famosa advocacy: mi sforzo costantemente di parlare di temi “scomodi” con famiglia e amici, con l’obiettivo di convincere sempre più persone a fare più attenzione, usare più empatia e iniziare a cambiare, anche da una cosa piccola. Ho scoperto proprio oggi la teoria secondo la quale basterebbe che il 3,5% della popolazione mondiale sposasse attivamente una causa perché quell’obiettivo si possa realizzare. Penso che valga la pena provarci.
Pensi che il covid-19 abbia cambiato il concetto di moda sostenibile? come?
Il covid-19 ha sicuramente accelerato processi e ampliato discussioni che per fortuna erano già in atto. La “grande moda” è stata costretta a fermarsi, insieme al Fast Fashion, e le tempistiche di lancio delle collezioni sono state per forza di cose ripensate, costringendo tutti i protagonisti del settore a farsi delle domande. I riflettori del pubblico si sono puntati su notizie allarmanti, come gli ordini cancellati in Bangladesh che hanno fatto perdere il lavoro a milioni di persone, accendendo le coscienze, dando il via a riflessioni concrete sull’impatto della moda lungo le filiere produttive. I piccoli progetti come il mio hanno avuto modo di distinguersi, di creare valore attraverso il proprio storytelling e di offrire un’alternativa a zero impatto negativo, anzi, proponendo un impatto positivo ai consumatori attraverso i loro acquisti.
Le dirette Instagram si sono moltiplicate e la voce di chi parla di questi temi è stata amplificata, ma non solo per il coronavirus. Tutto quello che è successo quest’anno ha contribuito a una maggiore presa di consapevolezza da parte del consumatore medio: stipendi a rischio, cassa integrazione, negozi chiusi, insostenibilità dei saldi continui, fino ad arrivare al Black Lives Matter e all’attenzione sui black owned business. Sono tantissimi i campanelli di allarme che hanno suonato in questo 2020 ed è finalmente giunto il momento in cui anche i consumatori meno ricettivi si stanno svegliando.
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