Skip to main content

Giornata mondiale contro l'AIDS: come si vive con l'HIV oggi

Una volta l'anno, nei giorni precedenti alla Giornata mondiale contro l'AIDS, l'1 dicembre, portiamo un fiocco rosso, come simbolo universale della consapevolezza e del supporto verso le persone sieropositive. Quest'anno la nostra paura è certamente concentrata sulla pandemia da Covid-19 che ha causato quasi un milione e mezzo di morti in tutto il mondo, ma dato che ancora oggi circa 38 milioni di persone sono affette da HIV e una stima di 1,7 milioni di individui contraggono l'infezione ogni anno, perché il dibattito sui problemi dell'HIV/AIDS non è più costante?

Visual AIDS, l'organizzazione che ha iniziato il Ribbon Project nel 1991 (oggi conosciuto come il Red Ribbon - Fiocco rosso), diffonde e supporta il lavoro di artisti sieropositivi - sia già riconosciuti che emergenti - attraverso esibizioni, eventi e pubblicazioni volti a espandere la consapevolezza sulla pandemia ancora in corso. Fondata nel 1988, insieme all'Organizzazione mondiale della salute, che ha dichiarato la Giornata mondiale contro l'AIDS, Visual AIDS è stata una delle prime iniziative a registrare l'impatto dell'AIDS sulla comunità artistica; tra l'81 e il '98 è costato la vita a quasi 62.000 persone solo negli Stati Uniti.

Red Ribbon, Clocktower (New York City), 1991. Dasinistra: Dieter Hall, Ira McCrudden, Joanna Thornton, Marc Happel, ospite, Jimmy Patrick, Allen Frame. Courtesy Visual Aids

Living with HIV

Red Ribbon, Clocktower (New York City), 1991. Dasinistra: Dieter Hall, Ira McCrudden, Joanna Thornton, Marc Happel, ospite, Jimmy Patrick, Allen Frame. Courtesy Visual Aids

Oggi, grazie alla Terapia Antiretrovirale (ART) - l'utilizzo quotidiano di una combinazione di medicinali per l'HIV - l'aspettativa di vita di alcuni sieropositivi può essere vicina a quella di chi non ha il virus, se si ha accesso alla terapia. Inoltre, se si mantiene una carica virale non rivelabile (ossia, se la quantità di virus nel sangue è così bassa da non poter essere rilevata: negli Stati Uniti si parla di 50 copie di virus per millilitro di sangue), non si può trasmettere l'HIV sessualmente. In alcuni casi, è possibile prevenire la trasmissione dell'HIV da madre a feto.

La società dovrebbe comunque aggiornarsi sulla medicina moderna - sull'HIV/AIDS persiste un forte stigma. In settembre, Gareth Thomas, ex capitano della squadra di rugby Welsh, è stato minacciato da un tabloid di rivelare pubblicamente la sua condizione di portatore di HIV in stadio non rilevabile/non trasmissibile. «Le persone sieropositive sono rappresentate come se andassero in giro con le stampelle o stessero per morire», dichiara Thomas in un video della BBC. «Voglio infrangere lo stigma». Pochi giorni dopo, la star di Queer Eye Jonathan Van Ness ha scritto nel suo memoir, Over the Top, circa la sieropositività. «L'amministrazione Trump ha fatto tutto ciò che poteva per alimentare intorno a me la stigmatizzazione della comunità LGBT», ha dichiarato al The New York Times circa le ragioni del suo coming out.

Non sono i soli a parlare pubblicamente delle loro esperienze personali per mettere fine allo stigma che circonda l'HIV. Vogue parla con cinque forze creative che stanno usando la loro voce per chiedere una società più progressista e una cura, ora.

Kairon Liu con The Portrait of Tree #1, 2018. Courtesy Kairon Liu

Living with HIV - Kairon Liu

Kairon Liu con The Portrait of Tree #1, 2018. Courtesy Kairon Liu

Kairon Liu

Il fotografo ventisettenne, basato a Taipei, si è laureato alla Shih Hsin University e lavora inoltre come artista e curatore. Dal 2017, Kairon Liu ha sviluppato Humans as Hosts — un progetto in collaborazione con social network, ONG e autorità della salute pubblica in tutto il mondo che consiste in ritratti e interviste di persone sieropositive. «Voglio che la gente sappia cosa sentiamo nel nostro quotidiano e come sopravviviamo al virus e allo stigma», dichiara. Questa è la prima volta che parla pubblicamente della sua condizione di sieropositivo.

«Nel 2015, a 23 anni, ho fatto un anno di servizio civile [dal 1951 Taiwan mantiene l'obbligo di leva per tutti gli uomini] come fotografo e assistente al National Taiwan Museum of Fine Art. In quel periodo ho incontrato un ragazzo. Gli ho chiesto del suo stato di salute dopo essere stato a letto con lui - sapevo che avrei potuto sottopormi alla PEP [Profilassi Post Esposizione; un trattamento che può fermare un'infezione da HIV se intrapreso entro le 72 ore dall'esposizione], ma mi ha assicurato che non c'era da preoccuparsi».

«Due settimane dopo mi è venuta la febbre, sono andato dal dottore e mi è stato diagnosticato l'HIV. Ero così scioccato. Ho provato a contattare il ragazzo, ma mi ha bloccato su tutte le app. Come gay, dentro di me sapevo da sempre che c'era il rischio, ma avevo sempre pensato di comportarmi bene - non faccio sesso occasionale e non mi drogo - però chiunque può contrarre l'HIV. Ho capito che dovevo affrontare i miei stessi pregiudizi.

Forgiveness and Fallible Beings, 2015

Living with HIV - Kairon Liu

Forgiveness and Fallible Beings, 2015
Kairon Liu

«Prima del 2015, il centro del mio lavoro era l'osservazione della religione e delle credenze contemporanee ma dopo la diagnosi mi sono avvicinato di più alla spiritualità. Lo pseudonimo del “mio amico” - il soggetto di molte delle mie fotografie - è 'Tree' ('Albero') perché, quando ero ammalato, vedevo me stesso come il tronco di un albero che veniva tagliato, di cui restavano solo le radici ma, quando sono stato meglio, le foglie e i rami sono ricresciuti».

«Nel 2017, ero in residenza al Pier-2 Art Center di Kaohsiung - nel sud di Taiwan, dove ho avuto l'idea di Humans as Hosts, e così ho iniziato il mio viaggio come artista visivo sieropositivo. L'attivismo legato all'HIV/AIDS a Taiwan si concentra più sulla salute fisica individuale che sulla creazione di un dialogo sullo stato mentale delle persone, il che lo rende piuttosto isolante. Attraverso la ricerca, mi sono imbattuto in Visual AIDS, che mi ha portato nel 2018 alla Residency Unlimited a New York».

Humans as Hosts The Rest of me?, 2018

Living with HIV - Kairon Liu

Humans as Hosts The Rest of me?, 2018
Kairon Liu

«Non avevo mai pensato che sarei diventato un artista full-time o addirittura un curatore, ma le mie esperienze mi hanno fatto diventare chi sono ora. Ogni giorno, una persona sieropositiva prende medicinali per mantenersi in salute e questo le ricorda costantemente la sua diversità - solo perché sopravvivi fisicamente, non significa che ci riesci anche mentalmente. Rivelando la mia condizione voglio creare ponti tra le persone sieropositive».

«Adesso, ho quest'intervista con voi. Poi finirò l'organizzazione della mostra Interminable Prescriptions for the Plague che sto curando per il MOCA Taipei. Lavoro full-time come artista; sto facendo domanda per un master di belle arti a Chicago e a Londra - è impegnativo».

«Beh, non so se sto vivendo una vita salutare, sono sempre stato un workaholic, ma sicuramente è una vita che ha un senso».

The Invisible Opposite of Male, 2018, Marguerite Van Cook

Living with HIV - Marguerite van Cook

The Invisible Opposite of Male, 2018, Marguerite Van Cook
Kairon Liu

Marguerite Van Cook

Verso la fine degli Anni '70, come cantante della band The Innocents, l'artista inglese Marguerite Van Cook è stata in tour con i Clash prima di stabilirsi a New York dove dal 1983 al 1986 ha diretto una galleria insieme al suo partner James Romberger. È stato lì che hanno incontrato il leggendario artista David Wojnarowicz e insieme, negli ultimi anni prima della morte per AIDS di Wojnarowicz nel 1992, hanno creato la graphic novel 7 Miles a Second. Il lavoro di Van Cook - che abbraccia cinema, pittura e fotografia - è nelle collezioni di molti musei, inclusa quella del MoMa e del Whitney di New York. Van Cook sta ultimando il suo dottorato in francese, fa parte del consiglio di direzione di Visual AIDS e sta seguendo la fondazione del progetto Cure Now che riunirà vari artisti per chiedere una cura per l'AIDS.

«Nel 1997, sono stata ricoverata per sei settimane con una meningite criptococcica - le allucinazioni erano così intense che i dottori mi hanno diagnosticato una condizione psichiatrica - ed è stato allora che mi è stato diagnosticato l'HIV. Mentre ero in ospedale la terapia HAART [Highly Active AntiRetroviral Therapy - Terapia antiretrovirale altamente attiva] è diventata il nuovo standard per la cura dell'HIV - se l'avessi contratto prima, sarei probabilmente morta. C'erano molti effetti collaterali all'inizio; ho perso un sacco di peso - è un'arma a doppio taglio, perché sei grata di essere viva ma sei terrorizzata dal tuo aspetto. Ora ho imparato ad accettare il mio aspetto».

«Quando si riceve la diagnosi, si perde il contatto con la propria sessualità - non ci si sente autorizzati ad avere relazioni sessuali perché si è portatori di una malattia che si trasmette tipicamente per via sessuale, e questo pesa sulla psiche. Anche se adesso non rilevabile corrisponde a non trasmissibile, è difficile per le persone parlare della loro condizione, perché c'è ancora molto stigma».

«Ogni volta che stringi un'amicizia profonda senti che la tua sieropositività potrebbe essere un fardello per gli altri, ma se poi non lo dicessi la cosa potrebbe turbarli - non sai mai quale sarà la reazione. Quando l'ho dichiarato, molte persone hanno finto di non saperlo - mi descrivevano come un attivista contro l'AIDS, più che come una sopravvivente dell'AIDS».

«Sono molto fortunata ad avere un partner con cui sto da circa 35 anni. Abbiamo detto a nostro figlio (che ora ha 34 anni) che avevo l'HIV circa un anno dopo la diagnosi, quando ho sentito di dovergli la verità. È stato difficile, ma è una persona incredibile; ogni giorno dev'essere speciale, dobbiamo essere completamente presenti. Mi vesto bene ogni giorno e sono più audace sullo stile perché, beh, perché no, cavolo?».

«Non voglio che la malattia mi definisca come artista, anche se ho il dovere di essere un'attivista. Mentre gli anni passano, più mi sento a mio agio nella mia pelle meno sono tollerante con le persone quando fanno le idiote. Le mie spese mediche sono astronomiche, circa 40.000 dollari l'anno, una cosa che mi riempie di rabbia, sapendo quanto può essere economico produrre queste medicine. E sono stanca di accettare le modifiche della medicina; prendo tre pillole al giorno. Non mi interessa passare a prenderne solo una, voglio una cura adesso - questo è il mio prossimo progetto.

Sunil with NY Review of Books, 1975 circa. Friends and Lovers - Coming out in Montréal in the '70s

Living with HIV - Sunil Gupta

Sunil with NY Review of Books, 1975 circa. Friends and Lovers - Coming out in Montréal in the '70s
Sunil Gupta/Hales Gallery, London and New York

Sunil Gupta

Il fotografo canadese, nato a New Delhi e di base a New York, ha documentato negli ultimi quattro decenni le culture LGBTQ+ in tutto il mondo, nel tentativo di espandere la consapevolezza su questioni che riguardano la razza, le migrazioni e i diritti degli omosessuali. La serie del 1976 di Gupta, Christopher Street, catturava la comunità gay di New York, da poco emancipata, prima che fosse decimata dalla pandemia HIV/AIDS, mentre il suo più recente lavoro From Here to Eternity apre uno sguardo sulla sua vita dopo aver contratto l'HIV. Il lavoro di Gupta fa parte di molte mostre, ora in corso o programmate a breve, tra cui Spectrosynthesis II – Exposure of Tolerance: LGBTQ in Southeast Asia al Bangkok Art and Culture Centre, Tailandia (fino all'1 marzo 2020) e Masculinities: Liberation through Photography alla Barbican Gallery di Londra (dal 20 febbraio al 17 maggio 2020).

«Ho fatto outing quando ero adolescente ed essere gay fa parte della mia vita professionale. Nel 1995, ho incontrato un ragazzo che mi piaceva e che stava iniziando a esplorare la sua sessualità. Sono andato a fare il test dell'HIV e sono risultato positivo. Abbiamo smesso di fare sesso poco dopo e alla fine mi ha lasciato, preoccupato dal rischio di dover diventare la mia balia. Per un po' sono stato l'archetipo di una persona con l'HIV in quell'epoca. Non avevo mai avuto problemi a incontrare delle persone ma all'improvviso c'erano troppa ansia e paura del rifiuto - quando dicevo a un partner che ero sieropositivo, non durava a lungo».

Untitled #20, 1976. From Christopher Street, New York City

Living with HIV - Sunil Gupta

Untitled #20, 1976. From Christopher Street, New York City
Sunil Gupta/Hales Gallery, London and New York

«Scoprire di avere l'HIV è scioccante, ma mi conforta fare parte di una più ampia rete sociale di uomini gay che è cresciuta intorno a me, in parte grazie al Terrence Higgins Trust, che sono informati sull'HIV e non ne fanno una tragedia. C'è un vero senso di cameratismo».

«Sono molto fortunato a vivere in Inghilterra - tutte le mie medicine e le cure sono coperte dal servizio sanitario nazionale. Prendo una sola pillola che è un cocktail di farmaci, ma ci sono effetti collaterali; per esempio, mi fa perdere il grasso corporeo, quindi sono molto sensibile al freddo. Il grasso tende ad accumularsi in un posto, nel mio caso intorno allo stomaco, allora mi sono iscritto in palestra, una cosa che non avrei mai pensato di fare».

«In India, l'HIV è associato alla povertà più che all'omosessualità. C'è una leggenda nazionale che vuole che l'HIV sia arrivato nel sud e sia stato diffuso dai camionisti lungo gli itinerari dei camion, dove si trovano molti distretti a luci rosse. Nei primi anni, il governo indiano - come ha fatto quello degli Stati Uniti - si è comportato in modo terribile e non ha riconosciuto la pandemia. Alla fine ha reagito lanciando nel '92 un programma di sanità pubblica che si chiama NACO [National AIDS Control Organisation], diretto ai poveri. Ironicamente, ha forzato questa cultura che non parla mai di sesso a parlare di sesso».

Selfie, circa 1975. From Friends and Lovers - Coming Out In Montreal in the 70s

Living with HIV - Sunil Gupta

Selfie, circa 1975. From Friends and Lovers - Coming Out In Montreal in the 70s
Sunil Gupta/Hales Gallery, London and New York

«La sfida nel mio lavoro è sempre stata quella di sapere fino a dove spingere i limiti. Voglio che i miei lavori siano esibiti in India così come in occidente, si tratta quindi di trovare un modo di rappresentare le comunità LGBTQ+, o le persone sieropositive, che possa esistere pubblicamente in entrambe le culture».

«Io e il mio partner stiamo insieme da 11 anni e lui è negativo. Era diventato difficile vivere come coppia gay in India in quel periodo perché il governo aveva restaurato una legge [di epoca coloniale] che criminalizzava il sesso gay, che era già stata abolita nel 2009. [Nel 2018, finalmente la corte suprema indiana ha abolito la legge una volta per tutte]».

«Sono più di dieci anni che sono non rilevabile, quindi la mia è una delle storie di successo. Faccio dei check-up regolari per misurare il carico virale».

«Fare esperienza della liberazione dei gay negli anni '70 mi ha insegnato che il modo migliore di superare la vergogna è parlare. Sono sieropositivo - prendere o lasciare».

Lynnea, Los Angeles; from Through Positive Eyes (Aperture, 2019)

Living with HIV - Lynnea

Lynnea, Los Angeles; from Through Positive Eyes (Aperture, 2019)
© the artist/AGHC

Lynnea Lawson

Di giorno, questa madre trentaquattrenne lavora come commercialista e insegna in una scuola per commercialisti. Ultimamente, ha dedicato il suo tempo libero all'arte e alla sensibilizzazione sull'HIV o, come dice lei, all'artivismo. Lawson è una delle 130 persone portatrici di HIV e AIDS provenienti da tutto il mondo che hanno contribuito al progetto collaborativo di foto-racconto Through Positive Eyes. Pubblicato questo mese in forma di libro da Aperture, è un'appassionata chiamata alle armi per combattere lo stigma che circonda l'HIV e l'AIDS, raccontando questo momento particolare della pandemia, in cui una terapia efficace è disponibile per alcuni, ma non per tutti.

«Mia sorella mi ha detto che ero sieropositiva quando avevo sette anni. Era il 1992 e la gente chiedeva che Magic Johnson fosse cacciato dalla NBA perché era sieropositivo e Ryan White, un ragazzo che aveva contratto il virus da una trasfusione di sangue, era morto da poco. La prima cosa che ho fatto è stata chiedere a mia madre perché non mi aveva detto che stavo morendo».

«Mi ha fatto sedere e mi ha detto 'Prima che possa succederti qualcosa, succederà a mamma, perché anche lei ce l'ha. Finché continuerai a vedermi in salute e in grado di prendermi cura di te e dei tuoi fratelli, starai ben»'. Quelle parole mi hanno aiutato moltissimo.

«Non mi sono mai sentita sola crescendo, andavo in una clinica che curava altri bambini sieropositivi e che organizzava campi estivi. C'era molto sostegno e un forte senso di comunità. I social media possono essere una cosa meravigliosa e mi sono rimessa in contatto con molte persone che avevo conosciuto alla clinica attraverso un gruppo Facebook».

«Oggi sono anch'io mamma di una bambina di quattro anni e lei è negativa all'HIV. Assicurarci che non ereditasse il virus è stato più facile di quanto si possa pensare. Sono non rilevabile e ho continuato a prendere la stessa pillola ogni giorno, come sempre, durante la gravidanza. Quattro ore prima di partorire mi hanno somministrato l'AZT per endovenosa. Ho partorito naturalmente in ospedale e, per le prime sei settimane della sua vita, a mia figlia è stata somministrata una bassa dose di farmaco per non correre il rischio di sieroconversione».

«La parte più difficile è stata fidarsi dei dottori e superare gli effetti collaterali [tra cui nausea, vomito, dolori muscolari e perdita di appetito] che l'AZT aveva quando veniva prescritto in grandi dosi nel passato».

«Penso che il dibattito si sia evoluto da quando HIV/AIDS erano considerati virus che contraevano solo gli omosessuali e i tossicodipendenti, ma c'è ancora tanta strada da fare. In molti ancora non sanno che se il virus non è rilevabile significa che non è trasmissibile, si pensa ancora che ci si ammali e che si infettino facilmente altre persone».

Mykki Blanco

Living with HIV - Mykki Blanco

Mykki Blanco
Max Dutka/Nikita Sereda

Mykki Blanco

Quest'anno, Mikky Blanco, musicist* e poet* american*, ha interpretato Giovanna d'Arco nel video di Dark Ballet, di Madonna, ha lavorato come modell*, partecipando a campagne di brand di moda come Gucci, Coach e Desigual, e dato gli ultimi ritocchi al suo secondo album. L'ultima proposta del* trentatreenne vuole, dice, «elevare il rap a un genere classico», e comprende varie collaborazioni con alcune delle più grandi star della musica.

«In settembre, alla Conferenza sull'AIDS degli Stati Uniti, ho parlato della mia vita prima e dopo aver contratto l'HIV per conto di NMAC, un gruppo che lavora con persone nere e latinoamericane sieropositive in America. È stata una delle prime volte in cui ho sentito di parlare alla mia gente della mia esperienza - loro sono me e io sono loro».

«Sono probabilmente la persona più famosa nel mio gruppo di amici e conoscenti a essere dichiaratamente sieropositiva ma la mai visibilità non rende le cose più facili, né mi rende esente da discriminazioni. Comunque, non voglio edulcorare la mia storia. Ho passato un periodo molto autodistruttivo nei miei vent'anni, sono emersi tanti demoni dalla mia infanzia e non avevo le risorse psicologiche o spirituali per affrontarli: non cercavo aiuto in forma di terapia, né mi prendevo il tempo di fermarmi a riflettere. Alcune parti della mia vita sono state così da manuale per una persona sieropositiva - abusi sessuali che hanno portato ad abuso di droga e comportamenti ad alto rischio: cose da cui molti non tornano indietro - la mia diagnosi è stata un campanello di allarme».

«Ho scoperto di essere sieropositiv* nel 2011 [Blanco ha condiviso la diagnosi via Facebook nel 2015 e ha scritto una canzone sull'argomento, You Don’t Know Me, l'anno successivo] dopo un test di routine - non avevo sintomi. Adesso sono quasi due anni che i Centri per il controllo e la prevenzione della malattia hanno riconosciuto la ricerca scientifica che dichiara il virus non rilevabile non trasmissibile, quindi finché prendo le mie medicine non c'è il rischio che lo passi a qualcuno. All'inizio, la cosa ha ferito e scioccato molto mia madre, ma il giorno dopo si è svegliata e ha detto, “L'affronterai e andrai avanti”. Ho la fortuna di aver stretto relazioni solide e di lavorare nell'industria creativa con persone che condividono le mie idee; non mi vergogno, cerco di dare il meglio. Mi impegno nel percorso verso la guarigione così da superare l'HIV».

«Se siete negativ* all'HIV e state leggendo, vi esorto a esaminare le vostre idee e informarvi su cosa significhi essere sieropositiv*. Non perdetevi un'amicizia o una relazione meravigliose per colpa dello stigma».



from Articles https://ift.tt/2tnQZJO

Comments