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L'Uomo: intervista allo scrittore Marlon James

Ogni leggenda è un tentativo di spiegare l’inspiegabile e poggia sopra le fondamenta solide della mitologia. E oggi che la nostra esistenza è circondata da fenomeni naturali e sociali estremi e spesso inspiegabili – il Presidente cinese ha definito il Covid-19 “un mostro” – abbiamo bisogno di leggende, epopee sorprendenti e liberatorie. Quelle tradizionali non bastano, perché rivelano e in modo sempre più drammatico, il germe della disuguaglianza e della sopraffazione nei confronti di minoranze che, insieme, compongono buona parte dell’umanità. Né possiamo servirci di quelle “nuove” e che, ispirandosi alla tecnologia, sviluppano credenze in cui i sensi e l’umano sono trascurati.

In questo silenzio dei miti e delle utopie s’impone un fenomeno nuovo e che la storia europea e la fede giudaico-cristiana avevano cercato di silenziare. È l’epica nera, africana, caraibica: contiene l’immaginazione, le avventure, i sogni e gli eroi che abbiamo schiavizzato o cancellato com’è successo con gli esseri umani. Musica, cinema e letteratura nera, anche per effetto delle prese di posizione conseguenti all’assassinio di George Floyd, conquistano ora le classifiche, rivendicando la libertà di plasmare il modo in cui la narrazione sull’identità e la storia nera è raccontata; rifiutando così di omologarsi alle abitudini occidentali. Il risultato è straordinario. Per giustificare quest’aggettivo, è sufficiente un solo libro e un autore: il giamaicano Marlon James che, con il primo volume della trilogia africana Dark Star, intitolato Leopardo nero, lupo rosso (Frassinelli) ha rivoluzionato i canoni della letteratura fantastica. Frutto di anni di studio su folklore e mitologia africana precoloniale, apre una voragine nella nostra idea di cosa sia reale: cambia la concezione del soprannaturale. Nato a Kingston nel 1970, figlio di due poliziotti, gay e fuggito dal proprio paese a causa della violenza omofoba, James ha insegnato e vissuto a Minneapolis (nella stessa strada in cui è stato ucciso Floyd), ha ricevuto 78 rifiuti prima di pubblicare il suo primo romanzo, uscito infine con il titolo Le donne della notte, Breve storia di sette omicidi con cui ha vinto il Booker Prize. Poi è stata la volta di Leopardo nero, lupo rosso di cui Michael B. Jordan (il cattivo di Black Panther) ha comprato i diritti cinematografici. Narrato dall’Inseguitore che cerca un bambino scomparso, ha messo le basi per una visione del continente africano alternativa a quella occidentale. In un’intervista ha definito il romanzo una “versione africana del Trono di spade”. In questa, invece, racconta perché è importante una leggenda nera del mondo.

È stato sorpreso del successo globale di Leopardo nero, lupo rosso?
Ero abbastanza preparato perché c’erano stati apripista, da Black Panther alla serie Black Lightning, ai fumetti che hanno promosso la diversificazione. Non mi aspettavo però di avere successo con un romanzo che non è soltanto una storia bianca vestita di nero, una versione marrone della tradizione, ma un’intera mitologia e una storia queer.

Portare il folklore africano all’attenzione occidentale, che effetti ha avuto?
Se abbandoni il modello giudaico-cristiano di raccontare una storia impari molte cose. C’è per esempio Eshu, un personaggio della cultura Yoruba. Per l’Occidente è la versione africana del diavolo, ma non è così: contiene più sfaccettature. Siamo anche abituati a pensare ai paesi africani come omofobi e repressivi, ma non fanno altro che imitare la cristianità. Basta studiare la mitologia per scoprire una quantità di storie queer, con matrimoni omosessuali, identità fluide e protagonisti trans prima che l’Occidente inventasse la parola. È una mitologia della diversità e per me, queer, è stato come ritrovarmi. Scoprire una visione libera del passato ha cambiato il modo di vedere la mia esistenza e il continente da cui provengo. Il romanzo, il suo essere fuori controllo, è l’ovvia conseguenza. 

Epica e avventura sono colonizzate da maschi bianchi e borghesi?
Soltanto in parte, perché le altre storie sono sempre esistite. Siamo noi lettori ad averle ignorate. Abbiamo avuto Ali Babà, Sindbad, Anansi: i miti c’erano. A mancare era il fatto di portare queste storie sullo stesso piano di rilevanza di quelle europee. Avevamo il folklore, adesso è il momento di una mitologia nera che veda il rapporto con l’Europa e la schiavitù sotto una luce diversa. I lettori hanno amato Leopardo nero, lupo rosso perché affamati di una visione differente.

(Continua)

English text at this link

In apertura: BC2: Black-Face-Off Weapon of Resilience 1 by Wilfred Ukpong. Courtesy di Blazing Century Studios in collaborazione con Arthouse Foundation Lagos, British Council Lagos, Omenka Gallery Lagos, e Sony Nigeria.

Leggete l'intervista integrale sul numero di ottobre dell'Uomo, in edicola



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