I grandi innovatori: 13 momenti che hanno cambiato la moda per sempre
I grandi innovatori della moda
La sfida: descrivere il ruolo giocato dalle menti più creative della moda nei grandi progressi culturali del passato senza usare i termini ‘innovativo, ‘all’avanguardia’, ‘rivoluzionario’.
I nomi li conosciamo tutti - Coco Chanel, Elsa Schiaparelli, Christian Dior, Yves Saint Laurent, Karl Lagerfeld, Miuccia Prada, Rei Kawakubo -, i leader dell’intellighenzia della moda che hanno cambiato il modo in cui pensiamo il mondo. Ma quando esattamente si sono verificati questi atti creativi? In che modo questi designer hanno violato le norme sociali? E quali animi hanno turbato in quel momento storico?
Mentre a marzo le 27 edizioni di Vogue si riuniscono intorno al tema della creatività, rendiamo omaggio ai talenti rivoluzionari, innovativi e all’avanguardia che hanno anticipato il futuro e l’hanno reso una realtà. Questi sono i 13 momenti che hanno cambiato la moda per sempre.
1911: Il ‘Re della moda’ Paul Poiret e la nascita dell’editoriale di moda
“Più di qualunque altro designer del 20esimo secolo, Paul Poiret ha elevato la moda a una forma d’arte” – questo il testo ufficiale del Metropolitan Museum of Art nel descrivere l’immensa creatività del couturier parigino. La mostra organizzata in suo onore dal Costume Institute nel 2007 fu giustamente intitolata Paul Poiret, Il Re della moda – il suo fu un regno radicalmente rivoluzionario.
Quando Poiret non organizzava feste memorabili per l’alta società come un mezzo ingegnoso di mostrare le sue ultime creazioni alla sua ricca clientela, eliminava il busto, si procurava ambassador tra le celebrità (vedi la star delle scene francesi Gabrielle Réjane) e diventava ufficialmente il primo couturier a lanciare una linea di profumi. Il momento che avrebbe cambiato il volto della moda per sempre venne nel 1911, quando il maestro della fotografia Edward Steichen fotografò le creazioni di Poiret per il numero di aprile della rivista Art et Décoration per quello che è oggi considerato uno dei primi editoriali di moda.
In seguito, nel 1932, Steichen avrebbe scattato la prima foto a colori apparsa su una copertina di Vogue, che raffigurava una modella in costume da bagno con una palla in mano sullo sfondo di un cielo azzurro per il numero di luglio della rivista. Il crollo della Borsa del 1929 avrebbe obbligato Poiret a chiudere per sempre, ma la sua legacy creativa sarebbe rimasta il modello per un’industria miliardaria che doveva ancora nascere.
1926: il petite robe noir di Coco Chanel viene presentato al mondo nel numero di ottobre di Vogue
“Queste donne, le vestirò di nero eccome!”, è nota per aver dichiarato la sempre irriverente Chanel. Il risultato fu l’LBD, il vestitino nero, un modello che rappresentava l’intenzione di Chanel di cancellare le disuguaglianze e che fu presentato al mondo con un’illustrazione su American Vogue. Il disegno raffigura un vestito nero al ginocchio con le maniche lunghe. Si tratta di un modello comodo e pratico, persino tradizionale, per gli standard attuali. Ma andando indietro al 1926, quel vestito incarnava lo spirito progressista degli anni ruggenti. Chanel aveva sfidato le norme, rigettando l’idea classista che i vestiti neri fossero da riservare alle divise della servitù e ai funerali – una scelta che sarebbe diventata la chiave del suo successo.
Gli anni Trenta: le collaborazioni con gli artisti, lo humor e l’ingegno finissimo di Elsa Schiaparelli
La stilista di origini italiane, che ha reso la moda parte indissolubile di uno dei più grandi movimenti artistici del ventesimo secolo, il surrealismo (rappresentato dal suo ‘abito aragosta’ del 1937, in collaborazione con Salvador Dalí) cominciò con la maglieria pratica e sportiva. “Durante la guerra, non era tutto glamour. Disegnava per Hollywood, ma faceva anche sportswear,” ha detto Marisa Berenson, nipote di Schiaparelli, a Suzy Menkes nel 2003. In pieno proibizionismo, negli anni Venti, la stilista usò il suo ingegno e la sua creatività con risultati leggendari – “un vestito per nascondere una fiaschetta di whisky,” ricorda Berenson.
1947: Christian Dior presenta il ‘new look’ (e le donne di tutto il mondo lo vogliono)
Non si può che pensare che Dior sapesse che stava per succedere qualcosa di enorme mentre si preparava a svelare la sua collezione di debutto il 12 febbraio del 1947. La storia ricorda i 90 modelli che componevano la collezione couture Primavera Estate 1947, una sfilata che resterà per sempre una delle più grandi presentazioni della moda, semplicemente come il “new look”.
Il couturier, che aveva aperto il suo atelier al numero 30 di Avenue Montaigne a Parigi solo poche settimane prima, a dicembre 1946, segnalò un nuovo inizio per le donne di tutto il mondo, dicendo addio all’austerità della Seconda guerra mondiale con una silhouette che abbondava di femminilità e celebrava le forme della donna – la gonna ampia, la vita stretta e le spalle arrotondate e scolpite. Era cominciata una nuova era.
1954: Karl Lagerfeld comincia la sua carriera nella moda come assistente di Pierre Balmain
Qualche decennio prima di ascendere allo status di kaiser al timone di Chanel nel 1983, il giovane Karl Lagerfeld - certamente uno dei più grandi innovatori della moda - faceva pratica di sartoria all’ombra di Pierre Balmain – l’architetto diventato maestro couturier le cui creazioni furono descritte da Diana Vreeland come “la quintessenza stessa dell’haute couture”. Per Lagerfeld, l’atelier di Balmain fu un elettrizzante invito in un epicentro creativo dove vestire le star, tra cui quella Brigitte Bardot che sarebbe diventata un’icona del cinema mondiale, era parte dei suoi compiti quotidiani.
1961: Roy Halston Frowick crea il cappello pillbox che Jackie Kennedy indossa all’inaugurazione presidenziale del marito
Lo stilista del Midwest che si fece un nome da Bergdorf Goodman a New York raggiunse la notorietà grazie a una cliente di profilo molto alto. Mentre il mondo guardava John F. Kennedy giurare da presidente, anche la moglie Jackie Kennedy diventava un’icona culturale globale.
Halston abbinò il pillbox hat al cappotto verdazzurro chiaro del costumista Oleg Cassini – un look straordinariamente ‘pulito’ creato specificamente per trasmettere la visione moderna della first Lady. I telespettatori di tutto il mondo s’innamorarono del cappello, un modello semplice e lineare che Kennedy ammaccò per sbaglio durante la cerimonia d’inaugurazione mentre si riparava dal vento. “Tutti quelli che lo copiarono ci aggiunsero l’ammaccatura,” osservò Halston. Otto anni dopo, nel 1969, avrebbe lanciato l’etichetta di moda che porta il suo nome, Halston, diventando il sarto non ufficiale dell’epoca dello Studio 54 grazie alle sue caratteristiche creazioni estremamente lussuose e languide.
1966: Yves Saint Laurent confonde i confini di genere della moda
Il look principale della collezione Autunno Inverno 1966 di YSL, ‘Le Smoking’, fu il primo smoking specificamente destinato alle donne – un modello ispirato agli abiti da sera da uomo indossati dall’artista Niki de Saint Phalle.
Il nome stesso si riferisce ai risvolti in seta della giacca che permettono di spolverare via facilmente la cenere delle sigarette fumate dopo cena. Per molti aspetti, il 1966 sembra sorprendentemente tardi per un evento epocale di quel tipo. Dopotutto, era anche l’anno in cui gli orli ad altezza coscia diventavano il pezzo forte dello stile ‘mod’, con le adolescenti di periferia e le ventenni modaiole di tutto il mondo che adottavano (e imitavano) le minigonne di Mary Quant. Anche sullo sfondo progressista degli anni Sessanta, lo smoking femminile rimaneva rimase un rito di passaggio da rive gauche, perfetto per le creazioni androgine dell’ingegnoso Saint Laurent. Trent’anni prima, nel 1933, il capo della polizia di Parigi aveva minacciato di arrestare l’attrice Marlene Dietrich per aver osato indossare un completo da uomo.
1974: Beverly Johnson è la prima modella nera ad apparire sulla copertina di American Vogue
“I cambiamenti abbastanza significativi da sfidare lo status quo non capitano spesso, ma quando nel 1974 Beverly Johnson apparve sulla copertina di Vogue - numero di agosto - fu un momento epocale. C'erano voluti più di ottant’anni, ma finalmente una persona di colore appariva sulla copertina della principale rivista di moda del mondo,” ha scritto la nostra giornalista Janelle Okwodu nel 2016.
Dire che Johnson subì il rifiuto di un’industria in cui la discriminazione razziale era chiaramente diffusa è un understatement – un’esperienza che avrebbe alimentato il suo impegno di attivista e fervida sostenitrice dei diritti civili. “Il sogno di ogni modella è essere sulla copertina di Vogue,” ha raccontato Johnson alla CNN. “Quando riesci a ottenere la copertina di Vogue sei arrivata. E poi quando ho scoperto di essere la prima persona di colore in copertina e cosa questo significasse, ero tipo ‘Wow, è davvero una cosa grossa’".
1976: Calvin Klein è il primo designer a portare i jeans in passerella
Con una mossa che oggi chiameremmo ‘reading the room’, un giovane Calvin Klein fece sfilare dei comunissimi jeans in passerella (nel nostro podcast storia e curiosità del denim). Ovviamente, i suoi jeans avrebbero dato origine a un impero globale grazie a una delle campagne pubblicitarie più provocatorie del ventesimo secolo, ma guardate meglio i jeans dei primi anni Settanta di Klein e noterete un altro colpo di genio: il suo nome cucito sulla tasca posteriore destra dei jeans.
1978: Miuccia Prada acquisisce il controllo dell’azienda di accessori di lusso di famiglia
La minore delle figlie di Mario Prada aveva piani lungimiranti per l’attività milanese di famiglia. Prada avrebbe presentato la sua prima collezione ready-to-wear per l’autunno inverno 1988 – una sfilata ricca di modelli semplici ed eleganti ma di grande personalità.
“Non sono una designer di moda, sono chi sono,” pare abba detto al tempo alle voci critiche all’interno dell’azienda. Ha anche rivelato la sua condizione creativa ottimale. “Mi piace scontentare la gente ma allo stesso tempo incuriosire tutti, probabilmente. Fare una cosa normale che appaia profondamente strana”.
1982: Rei Kawakubo sconvolge la Paris Fashion Week
“Nel 1981, quando Rei Kawakubo ha cominciato a presentare le sue collezioni Comme des Garçons a Parigi, aveva già un fedele seguito giapponese noto come ‘the crows’ [i corvi],” ha scritto Laid Borrelli-Persson di Vogue nel 2017. L’esplorazione artistica del colore nero portata avanti da Kawakubo era un tratto distintivo del suo stile fuori dagli schemi e di quello dei suoi primi fan (e ne aveva molti). Se gli anni Ottanta furono un’era di eccessi, tra Wall Street, Thatcherismo e power dressing, le creazioni istintive di Kawakubo furono il suo contrappunto. La notizia si sparse in fretta per tutte le sale dorate della Paris Fashion Week.
Dal momento in cui aveva cominciato a disegnare i primi vestiti negli anni Settanta, l’obiettivo di Kawakubo era di vestire una donna “che non si fa influenzare da quello che pensa suo marito”. Non aveva studiato moda, come fece notare la scrittrice Judith Thurman nel suo profilo del 2005 sul New Yorker, il che era un vantaggio quando si stava fondando una delle più illustri imprese avant-garde della moda. “Dice spesso di essere grata di non aver fatto la scuola di moda o un apprendistato perché alla fine, anche se non sapeva cucire o realizzare un modello, almeno non aveva preconcetti da disimparare e un’esperienza di cui stufarsi.”
1992: Alexander McQueen si laurea alla Central Saint Martins
Il prodigioso talento di McQueen, oggi una leggenda della moda, era già lanciato quando finì di lavorare alla sua collezione di laurea alla Central Saint Martins nel 1992. Il designer, che si era fatto le ossa come apprendista a Savile Row, intitolò il suo progetto di fine corso Jack the Ripper Stalks His Victims [Jack lo Squartatore insegue le sue vittime].
La collezione, che fu presentata in una sfilata di gruppo insieme ai compagni di corso, offriva un’interpretazione molto personale del concetto di ‘eroina’. Alcuni capi avevano persino dei capelli umani cuciti sul tessuto. “L’ispirazione per i capelli mi è venuta dall’epoca vittoriana, quando le prostitute vendevano i loro capelli a chi fabbricava monili che la gente acquistava da regalare ai propri amanti,” spiegò McQueen in un’intervista a Time Out del 1977. “Erano la mia firma, queste ciocche di capelli nella plastica trasparente. Nelle prime collezioni, i capelli erano i miei.”
1992: Marc Jacobs porta in passerella una dose di realtà
Lo spirito ribelle del carismatico Jacobs fu sufficiente a permettergli di essere sia assunto che licenziato dal marchio americano di abbigliamento sportivo Perry Ellis all’inizio degli anni Novanta. Non erano pronti per la famigerata sfilata ‘grunge’ primavera estate 1993 del designer, come del resto non lo era nessun altro.
Plaid, giochi di proporzioni e silhouette che richiamavano i negozi dell’usato in periferia (tra cui babydoll striminziti e modelli antiquati di abiti sottoveste) stavano per diventare un elemento base delle passerelle alla New York Fashion Week dove, come nella musica, si stava verificando un cambio della guardia. In meno di mezz’ora, Jacobs aveva messo il bastone tra le ruote all’alta moda, offrendo qualcosa di totalmente accessibile, specchio di un movimento giovanile universale ormai dilagante.
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