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Matilde Gioli: io, l'Inter e le domeniche in curva

Matilde Gioli e l'Inter: cronaca di un amore

Il giorno della sua nascita, il 3 settembre 1989, in casa Lojacono c’era aria di pre partita. Un sabato d’estate. Vigilia della seconda di campionato. In tempi di radioline e mica di turni infrasettimanali e spezzatini paytv, lungi ancora da arrivare. Lei veniva al mondo e suo papà Stefano, interista colossale, buttava l’occhio a Sabato Sprint per sentire le ultime dai campi e la formazione annunciata dall’allenatore Trapattoni in trasferta a Bologna, col tridente tedesco Brehme-Matthäus-Klinssmann. Dieci anni più tardi, sarebbe stata la sua prima volta allo stadio di San Siro, per una sfida contro il Genoa. Poi, da adolescente, la cotta clamorosa per Marco Materazzi. E più grandicella ancora, le domeniche in Curva Nord dietro lo striscione Le Monelle, strapazzata insieme alle amiche dall’onda di corpi (dio quanto le mancano…) che sciama come un sisma dopo ogni goal.

Matile Gioli (per il suo nom de plume ha scelto il cognome di mamma), attrice trentunenne dagli immensi sguardi, l’incoronazione se l’è guadagnata sul campo e sugli spalti: il Football Club Internazionale Milano l’ha infatti scelta tra i volti della campagna di lancio del nuovo logo, protagonista del progetto fotografico I M scattato da Alessandro Furchino Capria in compagnia di volti dello sport ma non solo, anche moda,  alta cucina, musica e cinema: «Quando me l’hanno chiesto sono impazzita di felicità» dice Matilde al telefono da Roma, dove sta per iniziare le riprese di una commedia dedicata all’universo dei trentenni, «avevo già partecipato a un evento dedicato ai vent’anni della collaborazione tra Nike e Inter ma questa è tutta un’altra cosa. E in più, sono orgogliosa che la mia squadra si apra così tanto verso altri ambiti e discipline: di fianco a uno dei miei scatti, in questo momento così difficile dove io stessa mi ritrovo con alcuni progetti in sospeso (tra cui il nuovo film di Fausto Brizzi “Bla Bla Baby”, n.d.r.), ci sarà lo slogan I M CULTURE».

Matilde Gioli: la foto è tratta da I M, il libro fotografico firmato da Alessandro Furchino Capria
Matilde Gioli: la foto è tratta da I M, il libro fotografico firmato da Alessandro Furchino Capria

Il film su Francesco Totti lo vedrà o la sua fede nerazzurra lo impedisce?
Lo vedrò perché Totti è un campione universale, anche se su sponda romana le mie simpatie vanno alla Lazio. Francesco però è di tutti, un po’ come Ibrahimovic, anche se lui può ancora capitare come avversario e averlo contro fa male. Ibra mi piace anche come uomo: quei tratti accentuati, quel non so che di asiatico: i belli, del resto, mi hanno sempre interessata poco.

Tutte le volte che indossa pubblicamente una casacca dell’Inter, come accaduto durante un Gran Premio di Monza di poco tempo fa, la sua prediletta è la numero 23.
È il numero di Materazzi. Quando giocava ero ragazzina, e per la prima volta la passione sportiva iniziava a coincidere con altre piccole palpitazioni. Mi piaceva la sua attitudine così particolare e tanto detestata dagli avversari, amavo come parlava e come si muoveva. Avevo il poster in camera e personalizzavo tutto col suo numero: è stato il mio Justin Bieber. Anche adesso, mentre parliamo, la cover del mio telefonino è decorata col 23.

Questa passione era condivisa in famiglia?
No. Papà aveva la predilezione per i brasiliani, da Ronaldo ad Adriano. Mio fratello, invece, stravedeva per “il principe” Milito.

La testata di Materazzi a Zidane durante i mondiali come l’ha vissuta?
Malissimo. Perché avrei voluto lanciarmi in campo per difenderlo.

Lo stadio quanto le manca?
Da impazzire. Però, almeno, sono riuscita ad andarci un paio di volte quando era consentito il limite dei mille spettatori. Ed è stato surreale: si sentiva lo schiocco della palla, tutto quello che si dicevano in campo, le urla dell’allenatore.

Si riguarda le partite su Youube?
Capita, e mi viene un magone… E io sono una che fa molto fatica a piangere, anche sul set. Invece, quando vedo la doppietta di Milito al Santiago Bernabeu, nell’anno del Triplete, giù lacrime.

Ma è vero che la sua famiglia trascorreva le vacanze insieme all’avvocato Giuseppe Prisco, indimenticato vicepresidente nerazzurro?
Sia la mia famiglia che la sua frequentavano Madesimo, una località di montagna tra la Lombardia e la Svizzera. Ci si ritrovava a bere il bianchino al bar Carducci, dove intorno all’amore per l’Inter l’avvocato aveva stretto amicizia con mio nonno. Ancora adesso, Madesimo è il mio posto del cuore: da bambina ci ho vissuto e persino frequentato l’asilo, e ora vado a sciare e a prender funghi. Sono una tipa da montagna, più che da spiaggia.

E da curva, più che da tribuna.
Perché andare allo stadio rievoca qualcosa di ancestrale, come entrare in un’arena, ti fa sentire forte e ti viene la voglia di resistere a tutto, dai fumogeni che ti arrivano in gola al freddo. Con le amiche arrivavamo allo stadio ore prima del fischio di inizio, a patire il gelo dietro lo striscione de Le Monelle senza che nessuna osasse portarsi un plaid: sarebbe stato segno di inaccettabile debolezza.

Figuriamoci il cuscinetto, allora.
Quello non lo portavo perché non volevo sporcarlo, visto che lo tenevo con me nel letto. Ci dormo insieme ancora oggi.

Se dovessi rinunciare a una delle sue due passioni, l’Inter e i cavalli, cosa sceglierebbe?
Dio che cattiveria, mi mette davvero in difficoltà. Le dico solo che tutta l’attrezzatura di Fuego, il mio cavallo lusitano, è nerazzurra: la sella, il sottosella, le staffe, persino la mascherina antimosche. Se non ci crede, le mando una foto.

Il calciatore nerazzurro più stiloso chi è?
Direi Andrea Ranocchia. Mi è capitato di cenarci assieme ed è un uomo davvero elegante.

Il più cool di sempre?
Purtroppo non è uno dei nostri ed ha persino giocato nel Milan: David Beckham.

La jersey delle squadre, in Italia, non si usa moltissimo come elemento fashion. Il modo più malandrino con cui l’ha indossata?
Il look era questo: maglia numero 23, oversize, infilata nella minigonna. E poi stivali. Ci sono andata una festa e anche a ballare. Puoi star sicuro che nessuna, tra centinaia di ragazze, era vestita come me.



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