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Il nuovo logo dell'Inter, minimal e contemporaneo

Se gli smartphone fossero nati quattrocento anni fa, probabilmente non avremmo avuto il barocco, neppure il rococò, e non si sarebbero svelati lo Jugendstil e il Sezession. Non c’è spazio per l’eccesso dei segni nel contemporaneo digitale. E l’occhio, sulla superficie palmare di uno schermo, ha bisogno di raccogliere in una frazione di secondo i dati che gli servono a distinguere, discernere, appassionarsi: «Per un brand, nell’era digitale, è importante essere visibile sui dispositivi mobili. Per il gioco del calcio questo è ancora più vero, considerato che sempre più giovani, in Asia in particolare, guardano le partite su dispositivi molto piccoli. Molti club però non si sono adeguati al trend: se guardi le tabelle dei risultati dopo un turno di Champions League, ti accorgi che gran parte dei loghi delle squadre, ormai, non sono più visibili».

A parlare è Mirko Borsche, fondatore dello studio di comunicazione e graphic design di Monaco di Baviera Bureau Borsche, che in un anno di lavoro, con un team di dodici persone dedicate, ha riprogettato in chiave contemporanea e digital friendly il logo del Footbal Club Internazionale Milano. Un lavoro di bisturi, attento come quello di un cardiochirurgo, partito dal simbolo tratteggiato il 9 marzo del 1908 dal pittore e illustratore Giorgio Muggiani che sui tavoli del ristorante L’Orologio di Milano tingeva il pennello nel nero, nel blu e nell’oro, appoggiando in un cerchio le iniziali F. C. I. M.

Un lavoro dal sapore liberty davvero notevole per l’epoca. Ma oggi, seppur a malincuore, divenuto praticamente inutilizzabile: «Il problema principale era il contrasto tra l’oro e il bianco, che lo rendeva invisibile in televisione e sugli schermi portatili» continua Borsche, «dovevamo a tutti i costi ridurre il concept, e renderlo più essenziale».

Un nuovo volto e un nuovo linguaggio per parlare in particolare a chi segue l’Inter da lontano, 300 milioni di tifosi del mondo e quasi 40 milioni di follower sui canali social.
A coordinare il lavoro d’invenzione è stato Kolja Buscher, graphic designer trentunenne che aveva già realizzato progetti di spessore mondiale quali il restyling del logo di Balenciaga, affidato anch’esso a Studio Borsche: «Coi grandi marchi del fashion sai di rivolgerti a un target riconoscibile, che acquista in media oggetti che non vanno sotto i duemila euro di valore», racconta Buscher, «nel caso dell’Inter invece parli  a giovani e anziani, ricchi e poveri, industriali e contadini, legati a una città culturalmente vivace e irrequieta, con tradizione storica ma anche uno sviluppo architettonico recente proiettato verso l’alto. Una città fatta di moda, di fabbriche e di design. L’Inter è un brand democratico che va rappresentato allargando gli spazi, e non chiudendoli. Senza contare che migliaia di persone nel mondo si sono giù tatuate sulla pelle il vecchio simbolo: questo cambiamento, letteralmente, ha un impatto sulla vita di molti».

Il risultato è davvero interessante. Un logo che appare completamente rivoluzionato anche se i designer giurano di aver mantenuto per quasi il 90 per cento le proporzioni originali, di aver rispettato con puntiglio il rapporto storico tra ingombri e spazi vuoti. Le braccia sporgenti della M sono state mantenute. E la I (che ricorda la vecchia F) non ha perduto la sua posizione protagonista. Magie di “metti e togli” che hanno sacrificato le iniziali F C per dare spazio alla I e alla M di Internazionale Milano, che grazie all’assonanza con l’inglese “I am” (io sono) hanno dato il via a tutta la campagna di comunicazione partita il 30 marzo. «È un vestito più leggero e minimale che trovo perfetto per allargare la nostra audience» spiega il chief marketing officer nerazzurro Luca Danovaro, «e se è vero che le lettere F C escono dal logo, è vero altrettanto che restano nel nostro nome, nella nostra identità e nella nostra storia».

Con una ricerca d’archivio che ha percorso un secolo di storia e ha prodotto circa trecento opzioni di logo diverse messe in campo da Bureau Borsche, anche i colori son stati riponderati: l’azzurro s’è avvicinato al blu della notte, grazie alle tonalità del Pantone 286 giudicato il più efficace. E l’oro – che verrà ancora utilizzato sul oggetti specifici di merchandising – nella bibbia di stile ufficiale del FC Internazionale Milano è stato sostituito da un giallo forte e spigliato. Mentre il nero resta il più profondo e pieno possibile. Per un  percorso fatto tenendo in mente, elencano i creativi, i tanti riferimenti culturali offerti da Milano: dallo Spazio Maiocchi al Salone del Mobile, dai templi dello street style come Slam Jam fino a esperienze cross-stilistiche come quelle di Virgil Abloh e la sua Off-White. «Sin dalla sua fondazione l’Inter ha rappresentato i concetti di fratellanza e inclusione» continua Borsche, «aver realizzato un logo dal sapore universale, adatto per chi segue la squadra in modo tradizionale ma anche a chi è appassionato agli eSports ad esempio, è un modo per rendere contemporanei, e destinati a durare a lungo, questi valori». Anche il “biscione” è stato reinventato, racconta Borsche, partendo dalla sua analisi simbolica fino ad scavarne le anatomie biologiche e di specie: «Un po’ e un drago, e un po’ è un serpente» conclude il designer, «ma soprattutto, è contenuto nell’antico simbolo di Milano. Farlo nostro, ha significato ribadire che il vero heritage della città, è targato Inter».

In apertura: un ritratto di Mirko Borsche



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