La modella Adesuwa Aighewi sul razzismo nell'industria della moda
Quest'estate, Adesuwa Aighewi ha interrotto per un mese e mezzo la sua frenetica attività di modella - che, per l'anno in corso, l'ha vista partecipare a una campagna Chanel, conquistare la copertina di Vogue Thailand e sfilare per nomi come Dior, Chloé e Fendi - per viaggiare in Africa. La ventisettenne ha visitato il Ghana e la Nigeria, dove è cresciuta fino ai 13 anni quando, a seguito della morte del fratello, la famiglia ha fatto ritorno negli Stati Uniti. Nata in America, di origini cinesi-thailandesi-nigeriane, Aighewi afferma che suo padre ha instillato nei figli i valori africani. «In Nigeria non ho mai percepito il razzismo, non ci sono tutte queste categorie come in America», spiega. «Ecco perché dovevo tornare a casa in Africa quest'estate, ero stanca di essere nera in un mondo di bianchi».
Vogue ha incontrato Aighewi a Lagos - era in città per il GT Bank Fashion Weekend, per tenere una masterclass sulla realtà della vita da modella. Dall'inizio, da quando è stata scoperta quasi una decina di anni fa, Aighewi si è impegnata in campagne per una migliore rappresentazione e salvaguardia della cultura africana nell'industria della moda. Nel 2017 ha scritto un saggio per il Guardian sulla politicizzazione dei dreadlocks; l'anno scorso è uscito il suo debutto come regista, Spring in Harlem - un cortometraggio che indaga la relazione con lo hijab di un gruppo di ragazzine musulmane; in aprile, qualche istante prima di salire in passerella per la sfilata Primavera/Estate 2020 di Dior, ha insistito per parlare con Maria Grazia Chiuri del perché avesse integrato alla collezione l'artigianato africano, e postato il video della loro conversazione su Instagram il giorno dopo.
Ora si prepara a lanciare Legacy Project, un mercato online dove artisti e designer di tutto il mondo potranno vendere a prezzi giusti. Prima dei Fashion Awards del 2 dicembre, Aighewi - candidata Model of the Year - parla della sua ultima avventura e delle motivazioni da cui nasce.
Ha parlato con veemenza della mancanza di diversità razziale nell'industria della moda. Perché pensa che il cambiamento sia così lento?
«Quando la gente dice che non ci sono abbastanza modelle nere in passerella, non è perché in giro non ci siano bellissime modelle nere, è a causa della legge di domanda e offerta. Il lavoro di modella non riguarda te [come individuo], riguarda le vendite, il marketing».
«I brand del lusso appartengono ai bianchi; la maggioranza dei top designer sono bianchi e quindi ingaggiano modelle bianche per le loro sfilate, perché vendono a un pubblico bianco. Semplicemente, il sistema non è fatto per modelle e modelli neri, quindi per noi cercare di stare in questi spazi è molto difficile e richiede un forte investimento psicologico e mentale - tutti cercano di stare in una scatola già fatta da altri, quando invece bisognerebbe fare più scatole».
Le sfilate 2020 sono state, a oggi, le più diversificate a livello razziale (41,5 per cento degli ingaggi per le maggiori sfilate sono andati a modelle di colore secondo uno studio di Fashionspot). Ritieni che le modelle nere siano ancora trattate secondo standard poco equi e, nel caso, cosa pensi che potremmo fare per cambiare questa situazione?
«Sono stanca della narrazione del "povera me". Se vogliamo più modelle nere sulle passerelle, allora, in Africa, dobbiamo valorizzare la nostra gente mettendola sulle passerelle - se non lo facciamo noi, come possiamo aspettarci che il resto del mondo lo faccia? Dobbiamo spingere la nostra narrazione - noi, modelle nere, siamo ambasciatrici della nostra razza».
«C'è’ una citazione di Toni Morrison che dice: "La funzione, la funzione davvero preoccupante del razzismo è la distrazione. Ti distrae dal tuo lavoro. Le persone ti diranno che non sei abbastanza intelligente e quindi passerai la vita a cercare di essere più intelligente". Per me, se sei una modella nera oltremare devi essere molto disciplinata; devi presentarti sul set in orario; devi assicurarti che i capelli siano in ordine; devi assicurarti di essere in forma; devi essere gentile - questo è molto importante, non puoi fare la diva. Quello funziona solo per Naomi».
«Voglio mettere in luce tutti questi costrutti - il razzismo è una questione di potere».
Hai iniziato a lavorare come modella, in parte, per pagarti un tirocinio in scienze alla NASA, perché è importante per te mantenere questi interessi al di fuori del lavoro?
«Quando facevo la modella full-time e nient'altro mi sentivo vuota. Sono tornata in Nigeria per la prima volta in 13 anni l'anno scorso; c'è ancora la stessa buca su cui di solito si bloccava la macchina di mio padre, nella mia scuola ci sono a malapena i gessi per le lavagne, un bambino è caduto in un canale di scolo e l'acqua era così profonda che è annegato - non ha senso, non c'è ragione per cui il canale di scolo sia così grande o perché non ci siano [scorte] adeguate. Sono passata direttamente da questo alla fashion week, a sorridere per 10.000 macchine fotografiche e fingere che vada tutto bene, ma non sono cose che si possono ignorare. Tutte le mie speranze e i miei desideri risiedono in Nigeria».
A cosa stai lavorando ora, al di fuori delle passerelle?
«Il Legacy Project arriverà presto, è molto stressante e più difficile di quanto avessi pensato, ma mi ha fatto crescere così tanto. L'obiettivo è eliminare gli intermediari, in modo che i ricavi della vendita di vestiti e accessori arrivino direttamente alle persone che li hanno creati. Artisti, designer e artigiani africani sono stati depredati dall'occidente - dove tante cose sono prodotte dalle macchine - per così tanto tempo; rubano le idee e non danno niente in cambio».
«Qui in Nigeria e nel resto dell'Africa ci sono molte tradizioni, ma stanno sparendo perché non rispondono alla domanda. Sto lavorando con gli artigiani per aiutarli a modificare i design, per renderli più desiderabili. Per esempio, se un tessitore di ceste sta producendo gli stessi piccoli cesti nello stesso modo in cui sono stati fatti per 100 anni nel suo villaggio, cerchiamo di rinnovare il design e le competenze per produrli. [Stiamo creando] prodotti per hypebeast, un design africano che attiri i compratori giovani, perché è da lì che arriva il vero cambiamento».
«Faremo delle bellissime foto e li venderemo a prezzo di mercato sul sito web - il mondo intero avrà accesso ai loro prodotti; non se ne staranno semplicemente lì ad aspettare che un turista passi di lì e li compri».
Puoi anticipare come sarà Legacy Project?
«Non è beneficienza, sono io che uso la moda per risolvere problemi e iniziare una conversazione su cose di cui è necessario parlare. La beneficienza per l'Africa non funziona; non vediamo dove finiscono i soldi, se lo sapessimo allora avremmo abbastanza dottori, non dovremmo andare a prendere l'acqua con un secchio e non ci sarebbero tutti gli altri problemi».
«Voglio promuovere l'autosufficienza e la sostenibilità [economica]. Gli africani sono dei grandi lavoratori, ma dobbiamo lavorare in modo più intelligente. Non è assolutamente necessario che l'Africa soffra, ogni settore ha bisogno di aiuto e abbiamo tutti il dovere di contribuire».
«Il piano è di fare tutti gli shooting in Africa con fotografi africani. Voglio che ci prendiamo la responsabilità della nostra narrazione e voglio cambiare la percezione che ha il mondo del continente».
Cosa spera di realizzare attraverso Legacy?
«Legacy si basa sulla collaborazione, non voglio che sia la mia narrazione, non voglio che sia solo la narrazione africana (sto disegnando dei gioielli con un argentiere dello Sri Lanka) - è una fusione di idee e un modo per iniziare la conversazione, così da integrare le persone nel processo e promuovere ammirazione e rispetto per le loro creazioni. Penso che sia il modo migliore di entrare nella testa delle persone per spingerle ad ascoltare, piuttosto che urlare. A questo punto siamo un villaggio globale - i livelli degli oceani stanno salendo quindi siamo tutti vicini - e dobbiamo pensare collettivamente piuttosto che territorialmente».
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