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Coltelli nelle galline: intervista a Eva Riccobono

Il cielo può essere solo di piombo? O azzurro? L'acqua può solo essere cristallina? Una pozza infangata è solo una pozza infangata? O forse può essere qualcos'altro se le cambiamo nome? Domande, tante, che ci costringono a confrontarci con il nostro universo così come riusciamo a descriverlo, scoprendone l'approssimazione, la poca puntualità, l'assoluta assenza di precisione. Domande che portando in superficie la dolorosa verità di un'umanità la cui rappresentazione (citando Schopenhauer) del reale non è che una riduzione ai minimi termini dell'immensità che si nasconde all'interno di due fili d'erba diversi.

Domande, tante, che si pone una donna, anzi una Giovane Donna, che di domande, in realtà, per il suo vivere la vita semplice di contadina, non dovrebbe farsi. Domande che, invece, quasi come un'epifania paolina, arrivano ad attraversarle la mente spingendola in una ricerca che diventa liberazione attraverso la ridefinizione del mondo. Questo è Coltelli nelle Galline, pièce teatrale in scena al teatro Franco Parenti (fino al 20 ottobre 2019) per la regia di Andrée Ruth Shammah. Basata sul testo dell'autore scozzese David Harrower, Coltelli nelle Galline mette in scena un intreccio di solitudini incarnate nelle tre figure del contadino "Pony” William, il mugnaio Gilbert Horn (Pietro Micci) e la Giovane Donna, portata in scena da Eva Riccobono il cui corpo e volto trasfigurano completamente e si mettono completamente a servizio della scena. Abbiamo incontrato Eva per farci raccontare un po' della sua esperienza teatrale.

Coltelli nelle Galline
Coltelli nelle Galline

Come è nata questa collaborazione con Andrée?

"È nata un po' di anni fa per caso. Ci siamo conosciute a casa di amici. Mi propose di fare un laboratorio con lei e, dopo quello, mi ha "confermata". Al che abbiamo fatto uno spettacolo che, a dir la verità, era più un percorso teatrale. E poi mi ha proposto questo ruolo che nessuno, davvero, avrebbe mai pensato di propormi"

Coltelli nelle Galline
Coltelli nelle Galline

Qual è stata la parte più difficile nella preparazione di Coltelli nelle galline?

"La parte più difficile è stata superare il mio timore di stare sul palco a interpretare un testo come questo. Coltelli nelle galline è uno spettacolo molto complicato e, lo ammetto, ho avuto paura di non riuscire a reggerlo sia come interpretazione che a livello "fisico"."

Coltelli nelle Galline
Coltelli nelle Galline

Come hai superato questa paura?

"Merito di Andrée. Durante una delle letture preliminari, per stemperare la tensione, ha fatto una lettura "comica" del testo, mettendosi a fare delle facce buffe. In quel momento ho capito ciò in cui mi sarei dovuta trasformare."

Il tuo personaggio dice "Ogni volta che le guardo le cose cambiano". Guardandoti allo specchio, oggi, come sei cambiata dall'inizio della tua carriera?

"Mi sento più sicura di me. Mi guardo allo specchio e mi sento io, completamente me stessa. Ho smesso di preoccuparmi una certa parte "estetica" che risponde più alle aspettative e ai "canoni" imposti per prendermi davvero cura di me. Paradossalmente sono più attenta al mio corpo oggi di quanto non lo fossi durante il periodo in cui sfilavo: prima era frustrante, era competitivo. Oggi ho un obiettivo e faccio in modo che il mio corpo sia pronto ad aiutarmi a raggiungerlo."

Coltelli nelle Galline
Coltelli nelle Galline

Il teatro è un contesto in cui una persona interpreta una parte di fronte a un pubblico che, al contrario del cinema, può interagire in diretta. Non è molto simile a quello che viviamo costantemente sui social network?

"No. Assolutamente no. I social sono finzione. Il teatro non lo è mai. Anche quando si racconta una storia inventata, l'attore mette sul palco paure e sentimenti veri. Reali. Concreti. Tra il pubblico e l'attore si crea un rapporto vero. Tra gli attori sul palco si crea un rapporto vero. Tutto è autentico. I social network, al contrario, sono una finzione asettica. Finiamo tutti a sfalsare la realtà e sfalsiamo la stessa percezione degli altri sulla realtà. Il teatro risveglia le coscienze, i social le annichiliscono. Il teatro è rapporto, è tematica, è emozione. I social sono spesso invece la negazione di tutto questo. In questa direzione sta lavorando anche Andrée che vorrebbe estendere lo spettacolo oltre lo spettacolo. Nei suoi progetti c'è l'idea di andare oltre il sipario che scende per ritrovarsi, a spettacolo finito, con gli attori e il pubblico a parlare di ciò che è andato in scena in un contesto, però, totalmente conviviale."

Una curiosità: qual è il pensiero che ti attraversa la mente quando il sipario si sta per alzare?

"In realtà ogni volta che devo entrare in scena sto così male che non riesco a pensare a niente. Ma poi, varcata la soglia, finita la piece sono così piena di endorfine che sono felicissima."



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