Sono pochi i libri che già nel titolo trasmettono l'anima della storia. After a Combray descrive integralmente la curva a V di un ragazzo, da un'adolescenza piena di eccessi ed esperienze fuoriorario al drammatico e disorientante approdo alla condizione di giovane adulto, fino alla precaria salvezza scoperta soltanto nella lettura forsennata, Marcel Proust con il suo villaggio della Recherche su tutti. Per chi aveva “curato” gli strascichi di una complessa separazione famigliare e il proprio generale disagio di vivere con alcol e droghe e la dipendenza come “stile di vita”, quindi anche nei confronti dell'amore, dell'amicizia, per chi per anni non era mai sceso dall'ottovolante, rimettere i piedi a terra con l'uscita dall'adolescenza provoca lo smarrimento più completo. Non è la testa a girare, ma la realtà intera a smarrire il sincrono dell'esperienza, diventando il set di un film in cui ci sente spettatori impotenti. Peccato che il film sia la vita stessa. E che non s'intraveda la fine dello spettacolo.
La sofferenza del giovane adulto, la cui formazione nel romanzo riparte soltanto quando il protagonista riesce a tessere una nuova trama esistenziale, rivisitando e facendo pace con i luoghi sentimentali e affettivi della propria vita, è uno dei temi caldi del presente. E in questo romanzo sfacciatamente, delicatamente autobiografico l'autore è suo malgrado costretto a usare un mezzo potente per esprimerne le difficoltà più profonde: il racconto del disagio psichico che lo attende nel momento in cui lascia il mondo irreale e pericolosamente protettivo coltivato da piccolo, per quello comune, adulto, una malattia che si chiama depersonalizzazione. Estremizzata, ricorda la condizione di molti giovani che spesso pensano di assistere alla propria esistenza da una posizione estranea, quasi congelata e da cui non possono intervenire per cambiare qualcosa.
Scritto con la stessa virulenza emotiva e purezza con cui aveva dialogato insieme al padre nel suo primo libro - Scazzi -After a Combrayè l'anti-manuale di una generazione in cerca di un orizzonte oltre un mondo che è in tempesta, sia attorno che interiore. Può essere letto come la cronaca della riconquista di un amore sopportabile per sé e l'altro; come della discesa nell'inferno del disagio mentale e della risalita quando, al culto per l'eccesso, il protagonista sostituisce l'ambizione all'assoluto della scrittura, dei romanzi, di una storia da inventare. O come una denuncia nei confronti di una società che non spiega ai ragazzi perché «Proust è meglio della coca».
Il film preferito di Nicola da piccolo era “La grande fuga”, nessun eroe più amato di Steve McQueen. Lo posso dire, sono il padre di Nicola. C'è un altro modo per accostarsi a questo libro: il racconto di un'evasione dall'intollerabile insensatezza dell'esistenza grazie al potere dell'immaginazione.
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