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Miuccia Prada e Raf Simons: il significato della collaborazione

“Da bambina”, ha confidato Miuccia Prada a Sarah Mower di Vogue nel 2004, “volevo essere sempre diversa dagli altri, e fare qualsiasi cosa prima di tutti”. E questo desiderio ha guidato tutta la vita della designer, fino ad arrivare alla direzione creativa di un brand internazionale e plurimiliardario, cui ha dato vita lei stessa grazie al suo talento, al suo istinto versatile e alla sua capacità di immaginare il futuro della moda. Quindi la notizia che Raf Simons—innovativo stilista di menswear, già designer di Jil Sander, Christian Dior e Calvin Klein—sarà il co-direttore creativo di Prada, e che due personalità della moda, entrambe note per le loro opinioni forti, lavoreranno insieme per re-immaginare il brand per gli anni 2020, sembra davvero un colpo da maestro del pensiero innovativo. Una nomina che è anche un voto di fiducia al potere della fantasia creativa in un momento in cui nel settore prevale l’ossessione per la crescita esponenziale e per i meri numeri.

“La cosa più importante per me sono le idee, l’estetica è totalmente secondaria”, ha dichiarato Prada, ma la sua estetica ha cambiato il modo in cui uomini e donne hanno scelto di presentarsi al mondo negli ultimi trent’anni, e in Simons la stilista ha trovato un collaboratore consumato— flemma fiamminga per il suo calore italiano, pragmatismo per la sua fantasia istintiva —per sfidare e ispirare.

Raf Simons per Jil Sander, primavera 2011 prêt-à-porter
Raf Simons per Jil Sander, primavera 2011 prêt-à-porter
Monica Feudi / GoRunway.com

Sebbene abbiano background molto diversi, i due talentuosi designer condividono la passione per l’arte, un certo piacere nell’appropriarsi in modo innovativo della storia della moda, ma anche un approccio techno-friendly al presente e al futuro.

Simons, ovviamente, ha già lavorato con Prada e con suo marito Patrizio Bertelli, il vulcanico amministratore delegato dell’azienda: lo avevano già arruolato come direttore creativo di Jil Sander nel 2005, quando controllavano il brand, e ci sono state delle collaborazioni incrociate fra i rispettivi design team. (Bertelli e Prada si erano conosciuti a una fiera di settore in cui lui aveva criticato le sue proposte: poco dopo divennero soci in affari, infine si sposarono, nel 1987).

Simons è nato nella cittadina di Neerpelt, nel Belgio rurale, “fra mucche e pecore” , come ha raccontato a Vogue. Sua madre faceva la signora delle pulizie, suo padre il vigilante notturno per l’esercito belga, ma la sua educazione al buon gusto fu opera delle zie, che abitavano in villette dal tetto piatto arredate con mobili di Verner Panton e Eero Saarinen e che ispirarono al nipote una passione che dura ancora oggi per l’estetica di metà del Novecento: la stessa passione di Miuccia Prada. Prada è nata in una famiglia borghese di Milano: l’azienda del padre produceva tosaerba, la madre, donna dall’eleganza discreta, aveva ereditato la celebre azienda di pelletteria di lusso fondata dal padre, Mario Prada, nel 1913, all’interno della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. (L’emporio inizialmente era specializzato in oggetti di lusso che, in linea con i gusti del tempo, comprendevano vetri di Boemia e giada dell’Estremo Oriente, ma divenne celebre soprattutto per le valigie di alta qualità, scelta dai reali d’Italia).

Prada si ribellò alla sua educazione, ma alle sue condizioni. Svolse un dottorato in scienze politiche e frequentò per cinque anni la scuola di mimo. Era comunista, disse lei stessa una volta a Vogue, che “distribuiva volantini politici vestendo Saint Laurent e smeraldi”.

Prada, primavera 2012 prêt-à-porter
Prada, primavera 2012 prêt-à-porter
courtesy of the brand

Per Prada disegnare abiti fu una sorta di appendice fortuita alla sua reinvenzione dell’azienda di famiglia, che ereditò nel 1978: Bertelli ci mise anni a convincerla che avrebbe potuto fare molto di più che ripensare la valigia moderna (lo aveva fatto utilizzando il pocono, un robusto tessuto di nylon fino ad allora utilizzato per coprire gli oggetti preziosi dell’azienda, non per realizzarli), e cioè ripensare l’abbigliamento moderno. Alla fine lo fece, nel 1988 (Miu Miu fu invece creata nel 1993). Prada accettò allegramente la sfida dopo aver capito che la moda “è un modo per restare connessi con quello che accade nell’arte, nel design, nella musica: in generale, con la cultura del tempo”. La stilista aveva criticato il fashion system della fine degli anni 70 e degli anni 80, e gli abiti, che pensava fossero “disegnati in modo commerciale, non personale. Sembrava che la moda fosse creata per donne che volessero compiacere la società, donne che erano oggetti”. La stilista dichiarava la sua ammirazione per le colleghe, come Vivienne Westwood, Sonia Rykiel, e Rei Kawakubo, e le sue stesse creazioni erano uniche e molto personali. Aveva, ad esempio, una vera ossessione per le uniformi e per l’idea di “vestirsi come una suora, molto sobria, senza nessuna vanità”, pensava che le desse “moltissima sicurezza … Credo sia molto elegante”, aveva detto. “Gli abiti dovrebbero sempre essere la visione che hai di te stesso, o quello che vuoi rappresentare, anche se è solo per una sera”.

Prada, autunno 2002 Prada, prêt-à-porter

Prada Fall 2002 RTW

Prada, autunno 2002 Prada, prêt-à-porter
Style.com

In quegli anni, il suo approccio postmoderno al design era spesso influenzato dal contenuto dei suoi fornitissimi guardaroba . “Il mio processo di apprendimento si compie solo con gli occhi”, ha affermato Prada, “non è per nulla scientifico”. Kate Betts di Vogue nel 1995 aveva scritto che “ogni capo di Prada è come una madeleine di Proust che Miuccia poi rivisita attraverso la sua estetica, mescolando quello che assorbe dal presente con quello che ha assorbito dal passato”.

“Mi sforzo sempre di cercare qualcosa di nuovo”, afferma Prada, “ma sono sempre influenzata dal passato”. “Trovo interessante creare abiti moderni per la donna moderna”, ha detto a Vogue Raf Simons nel 2012, “ma posso anche essere ispirato dalla nostalgia per una determinata epoca”.

Prada confessa che “dall’età di tredici anni, non mi sono mai separata da nessuno degli abiti che ho comprato”. Quando ero andato a trovarla, all’inizio degli anni 90, i suoi guardaroba, che comprendevano anche gli abiti della madre, e di due dei suoi figli, riempivano intere stanze della villa di famiglia, contendendosi lo spazio con la sua straordinaria collezione di opere iconiche di figure chiave dell’Arte Povera. “Posso dire forse di non amare la moda”, ha confidato Prada nel 2004, “ma amo totalmente i vestiti”. Quei primi modelli, creati in relazione simbiotica con il fedele design team e gli stylist di Prada, erano abiti che Vogue descrisse come “uniforms for the slightly disenfranchised”, per chi è “leggermente” emarginato, oppresso. Collezioni che erano sviluppate attraverso messaggi alquanto criptici. Poteva dire qualcosa come “Courrèges e Inuit” per istruire il suo team all’inizio di una stagione, e i suoi commenti ai giornalisti affannati nel backstage non erano meno aforistici. Mark Holgate una volta definì come “parole dell’oracolo di Delfi” la valutazione di Prada della sua collezione autunno inverno 2005, “Una femminilità antica, dolente e forte, come quella di certi film cinesi”. “Maschile, femminile, indecifrabile”, si leggeva nelle note di sfilata per la primavera estate 1994.

“Anche se lo stile è classico”, aveva detto Prada nel 1992, “Ci deve essere un dettaglio, un tessuto favoloso, qualcosa di inusuale che metta in moto l’immaginazione della donna”.

Nonostante la serietà del suo lavoro, il senso dell’umorismo bizzarro di Prada emerge spesso: parliamo di una chief executive che, non dimentichiamolo, ha fatto installare uno scivolo di Carsten Höller per un viaggio avventuroso dallo studio del terzo piano al cortile del palazzo. Andrew Bolton del Costume Institute ha visto molte analogie con il lavoro innovativo di Elsa Schiaparelli, tanto da ideare nel 2012 la mostra “Schiaparelli and Prada: Impossible Conversations”, incentrata sul lavoro di due menti affascinanti che, secondo Bolton, usano la “moda come strumento di provocazione, per mettere in discussione i concetti convenzionali del gusto, della bellezza, del glamour e della femminilità”.

Schiap aveva detto, ad esempio, che “per avere il senso della storia, bisogna precederla” . “Per me”, ha detto Prada, “è importante anticipare dove sta andando la moda”.

“Ho sempre pensato che gli abiti di Prada sembrassero normali, ma non proprio normali ”, ha detto Miuccia Prada. “Forse hanno dei piccoli dettagli un po’ inquietanti, o c’è qualcosa non del tutto accettabile. Forse c’è anche del cattivo gusto. Ma il cattivo gusto non è di cattivo gusto: è un gusto diverso. Inoltre, il kitsch fa parte dei nostri tempi”.

Raf Simons, primavera estate 2003 menswear
Raf Simons, primavera estate 2003 menswear
Courtesy of Raf Simons
Raf Simons per Jil Sander, primavera 2012
Raf Simons per Jil Sander, primavera 2012
Yannis Vlamos / GoRunway.com

“Per me”, ha detto Prada, “la cosa più importante della moda è l’espressione. Perché con i tuoi abiti non esprimi solo l’aspetto sociale e l’estetica del tuo tempo, ma anche chi sei. Il modo in cui ti vesti è forse la cosa meno importante di te, ma è la prima che vedono gli altri. Quindi se ti vesti in modo personale, unico, forse significa che non senti l’esigenza di compiacere nessuno. Il che probabilmente significa che sei molto forte, e sicuro di te”.

Raf Simons per Christian Dior, primavera 2013
Raf Simons per Christian Dior, primavera 2013
Yannis Vlamos / GoRunway.com

Simons non è meno sensibile allo zeitgeist culturale. Ha studiato design industriale e da giovane studente frequentava un nightclub di Bruxelles, il Fuse, dove è nata la sua passione per la musica techno e la moda, e il caffè Witzli-Poetzli di Anversa, dove passava le serate a discutere per ore dei rispettivi meriti di Helmut Lang e Martin Margiela con un gruppo di persone che nelle sue vite successive avrebbero fatto parte del suo team creativo di sostegno.

Dal punto di vista creativo esistono già dei punti in comune fra Prada e Simons. “Cerco di mettere tutto insieme, anche il passato, che apprezzo”, ha detto Prada. (Quando WWD aveva criticato una delle sue collezioni definendola come l’incontro fra “I Flintstone e i Jetson”, Prada era stata felicissima.

Prada, autunno 2013
Prada, autunno 2013
Marcus Tondo / InDigital | GoRunway
Raf Simons per Christian Dior, autunno 2012 Couture
Raf Simons per Christian Dior, autunno 2012 Couture
Yannis Vlamos / GoRunway.com

Quando Simons, nel 2012, è approdato da Dior ha creato, sottolineava Mark Holgate, “una collisione fra la Parigi ancien e quella nouveau”, nella primissima collezione, che era “bellissima, da togliere il fiato, e profondamente rispettosa dei codici della maison stabiliti da Monsieur Dior circa sessant’anni prima”. E lo stesso Simons aveva descritto il proprio approccio a Dior come “nostalgia per il futuro”.

Come sempre, si era ispirato alla musica e all’arte. Le sue prime, brillanti sfilate uomo per il suo brand omonimo avevano rivisitato l’archetipo maschile mandando in passerella ragazzi dai fianchi sottili in completi che, come quelli di Prada, spesso ricordavano un’uniforme, e sembravano andare stretti persino ai modelli che sfilavano su musiche dei Kraftwerk e di altri guru della musica elettronica. Per Dior, Simons ha invece iniziato ad ascoltare le grintose e romantiche Madame Butterfly e Paris di Malcolm McClaren. “Non posso vivere senza musica”, aveva spiegato a Holgate, “e non riesco a immaginare la ragazza senza la musica”.

Prada, autunno 2019
Prada, autunno 2019
Alessandro Lucioni / Gorunway.com

Anche l’approccio di Prada all’arte ha segnato una vera svolta; la stilista e Bertelli hanno regalato a Milano, Venezia e Shanghai spazi stimolanti e profondamente personali in cui presentare gli stilisti che ammirano, e a volte anche godersi le opere d’arte che collezionano, in particolare alla Fondazione Prada di Milano: qui Prada, insieme all’archistar e amico Rem Koolhaas, ha trasformato una ex distilleria situata in una zona industriale isolata in una serie di spazi multisensoriali che, proprio come la stessa Prada, riescono ad essere profondamente austeri e molto eccentrici al tempo stesso. “Tutto”, ha spiegato la stilista quando è stata inaugurata la Fondazione, nel 2015, “diventa strumento per trovare nuove idee e fare qualcosa di nuovo”. E ha aggiunto: “Tutto è cambiato quando ho lasciato entrare i miei interessi nel mio lavoro”.

Prada, primavera 1998
Prada, primavera 1998
Condé Nast Archive

Fra i collaboratori più vicini a Raf Simons ci sono, invece, l’artista Sterling Ruby, le cui scintillanti opere su tela erano state trasferite sui tessuti della prima collezione couture dello stilista per Dior (una sfilata indimenticabile, che si era tenuta in una serie di sale decorate dal floral designer di Anversa Mark Colle con un milione di fiori profumati), e le cui sculture sono state in seguito esibite negli spazi esperienziali dello store e dello showroom di Calvin Klein. 
Per Calvin Klein, Simons ha scelto le immagini di un’altra icona americana, Andy Warhol, e l’effetto era stato fantastico. Per casa sua si è ispirato allo stile mid-century delle amatissime zie, e “convive” con le opere degli amici Ruby, George Condo e Cris Brodahl e con le ceramiche di Valentine Schlegel, Axel Salto, Pablo Picasso e Pol Chambost (quest’ultimo ha anche ispirato alcuni magnifici capi womenswear per l’AI2009 di Jil Sander).

Per Simons la partnership con Prada è un’opportunità per “riconsiderare il modo in cui la creatività può evolvere nel sistema moda di oggi”. “È un’aria nuova”, ha detto Miuccia Prada quando si è saputo della collaborazione. Un’aria nuova che porta con sé la promessa di un più grande impeto creativo da parte della stilista, che in passato ha dichiarato di non aver mai voluto “restare prigioniera del mio stesso stile. Mi piace guardare avanti”.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Vogue.com



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