Elisabeth Moss e L’Uomo Invisibile: inizia una nuova era horror
Elisabeth Moss è certamente una delle regine in carica quando si parla di TV di qualità. Ha interpretato la figlia del Presidente in West Wing – Tutti gli uomini del Presidente, una copywriter in Mad Men, una detective in Top of the Lake – Il mistero del lago e il ruolo di June, una donna ridotta in schiavitù che si trasforma in rivoluzionaria nelle tre stagioni di The Handmaid’s Tale, l’ultima delle quali le ha regalato un Golden Globe e due Emmy, per non parlare del seguito di fan in tutto il mondo che scendono in strada per protestare indossando la tipica mantella rossa e la cuffia bianca del suo personaggio come simbolo di resistenza.
Negli anni recenti, anche le produzioni cinematografiche che la vedono protagonista sono state altrettanto stimolanti e feconde di riflessioni: ha interpretato parti terrificanti sia in Noi di Jordan Peele che in Her Smell di Alex Ross Perry, ma il 2020 si prospetta essere ancora migliore. Il mese scorso, ha ottenuto recensioni straordinarie al Sundance per il ruolo della scrittrice Shirley Jackson nel dramma psicologico Shirley. Inoltre, fa parte del brillante cast corale di The French Dispatch di Wes Anderson in uscita la prossima estate. Prima, però, farà ritorno al genere horror con L’Uomo Invisibile, un thriller fantascientifico basato sull’omonimo romanzo di HG Wells del 1897. Il film narra la storia di Cecilia, una donna convinta che il suo ex amante Adrian (Oliver Jackson-Cohen) la stia terrorizzando usando un completo che lo rende invisibile.
In occasione dell’uscita de L’Uomo Invisibile il 28 febbraio, Elizabeth Moss parla del messaggio alle vittime di abuso, delle sequenze di lotta girate come se fossero coreografie di danza e dell’importanza “dei film da sabato sera che facciano riflettere”.
Il film è un adattamento atipico. Cosa hai pensato quando hai letto il copione per la prima volta?
“Avevo già lavorato con Blumhouse e Universal in passato, per Noi e - cosa che mi ha fatto molto piacere - per questo progetto avevano pensato proprio a me. Ero sbalordita dall’originalità del copione. Il mio personaggio fa un percorso molto arduo e intenso”.
È un thriller fantascientifico ma che tratta anche di abuso emotivo. Come ti sei preparata per un ruolo del genere?
“Vivi 37 anni da donna [ride]. Penso sia questo l’aspetto più agghiacciante del film: si basa su qualcosa che accade nella realtà. Non si tratta di un qualche super potere da cattivo della situazione che Adrian ha. È qualcosa che esiste e in cui la gente può riconoscersi e identificarsi. Quando lo guardi, pensi, ‘Conosco uomini del genere. Li ho frequentati’”.
Qual è la differenza rispetto ad interpretare un personaggio come June in The Handmaid’s Tale?
“Ne ho parlato con Leigh [Whannell], il regista. Interpreto June già da un po’ ed è un personaggio molto forte. In questo film, era importante per me esplorare qualcosa di diverso. Volevo che Cecilia fosse spaventata, che fosse vulnerabile e una vera vittima di ciò che quest'uomo le ha fatto. Poi cambia ed evolve, ma volevo mostrare quanto debilitante possa essere quel tipo di abuso”.
Ci sono sequenze spaventose in cui Cecilia lotta contro qualcuno che non vediamo. Come le avete girate?
“Le abbiamo girate con una controfigura vestita di verde che è poi stata rimossa in post-produzione. Ci siamo esercitate per settimane e il tutto è stato coreografato minuziosamente. È un po’ come una danza dove si contano i passi, e io vengo dalla danza quindi non ho avuto difficoltà a ricordare i passi e le combinazioni. Dopodiché si è trattato di rendere il tutto più reale e spaventoso, assicurandoci al contempo che nessuno si facesse male. Ho lavorato con una controfigura straordinaria che continuava a dirmi di picchiare più forte. Poi Leigh mi chiedeva ‘Puoi aumentare l’intensità? ’ e io ‘Lo sto già prendendo a mazzate, più intenso di così non saprei che altro fare! ’”.
Hai fatto ricerca per il ruolo, magari decidendo di incontrare e parlare con persone che sono riuscite ad uscire da una relazione tossica?
“Leigh ha parlato con vittime di abuso e ha condiviso le loro storie ma, personalmente, trovo che sia emerso molto confrontandomi con le amiche. Ne ho alcune che mi hanno detto cose molto simili a quelle che dice Cecilia nel film. Persino io ho un paio di storie da ricordare. Ho letto anche il libro di Amy Schumer, The Girl with the Lower Back Tattoo. È fantastico e molto divertente ma c'è un capitolo interessante sulla sua esperienza di una relazione basata sull’abuso. L’ho contattata per dirle quanto mi avesse toccata la sua testimonianza. È una donna forte, con un umorismo pazzesco ed è una vera tosta. In un certo senso, non penseresti mai che qualcosa del genere possa far parte della sua storia. Eppure ne parla. Occorre rimuovere lo stigma. Ci sono tante donne forti e intelligenti che finiscono in situazioni di abuso. Non è colpa loro ed è importante che facciamo passare questo messaggio alla gente”.
Ritieni che una storia come questa abbia un’eco maggiore in tempi di #MeToo e Time’s Up?
“In seguito a movimenti del genere, credo che ora il nostro dovere sia quello di creare più spazi sicuri. Forse proprio grazie a questi, un tema del genere può diventare il soggetto di un’enorme produzione cinematografica. Dopotutto, lo scopo è fare film che intrattengono e che portino la gente a pensare e a confrontarsi. Jordan Peele li chiama ‘i film da sabato sera che fanno riflettere’. Ci sono metafore interessanti, per esempio, in film come Scappa – Get Out o in Noi, sia che l’argomento sia il razzismo o la politica. In questo film facciamo qualcosa del genere col femminismo e il ciclo dell’abuso”.
Ci troviamo in un’età d’oro per il genere horror con una coscienza sociale?
“Attualmente mi sembra si stia tornando a quell’età d’oro degli Anni ’70. E non si tratta solo del genere horror, come dimostra l’Oscar vinto da un film come Parasite. Ho appena girato Shirley, un film sperimentale e a basso budget ma che è stato acquistato dalla Neon. Il cinema sta finalmente cambiando e credo si tratti di una risposta a ciò che sta accadendo in televisione, dove ora come ora ci sono contenuti ottimi. Il cinema deve diventare più intelligente”.
The Handmaid’s Tale rientra in questo cambiamento. Quando iniziano le riprese della quarta stagione?
“Tra una settimana! Sarà una stagione pazzesca che ci metterà a dura prova sotto molti punti di vista. Stiamo tirando al massimo, sia in termini di produzione sia finanziari. Non ci ferma nessuno. Questa è la nostra opportunità di far viaggiare questo programma e farlo arrivare dove non si è mai spinto prima”.
Come ti senti quando vedi dimostranti vestite come le ancelle fuori dal Congresso americano? “È un onore. Mi sento più forte quando indosso quella mantella. È come l’uniforme di un supereroe e il fatto che lo sia diventata per così tante persone è fottutamente meraviglioso”.
Tra i tuoi prossimi progetti vi è anche The French Dispatch di Wes Anderson. Quanto ci puoi dire?
“È stato meraviglioso. Vivevamo tutti assieme in questo hotel ad Angoulême, in Francia. Quando lavori ad un film di Wes Anderson, vivi anche in un universo Wes Anderson. Sei in sala trucco e arriva Bill Murray con un fez in testa oppure Tilda Swinton passeggia qua e là come una vera visione. Poi indossi il tuo costume di scena e si va tutti assieme sul set. È come far parte di una grande troupe teatrale”.
L’Uomo Invisibile esce al cinema il 28 febbraio 2020.
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