L'Uomo: intervista a Nino Cerruti
Nino Cerruti è un gran signore che ha compiuto da poco novant’anni e che indossa le camicie avvolte sul corpo come Audrey Hepburn. Non le abbottona: ne sovrappone i lembi, li infila nei pantaloni, li stringe con la cintura, vi sovrappone una giacca, un maglione, quel che gli garba in quel momento. L’effetto è leggermente distonico, dunque attraente per l’occhio, che tende ad annoiarsi per l’eccessiva simmetria: “Lo stile è equilibrio, con un colpo di teatro”, sorride compiaciuto. L’uomo che per primo ha destrutturato l’abito formale e che ha portato la sovrapposizione del genere vestimentario alle masse (per intenderci: già Orry Kelly vestiva Marlene Dietrich in giacca, cravatta e pantaloni con le pinces negli Anni Trenta del Novecento, ma è stato difficile vedere donne in tailleur pantalone fino a tutti i Settanta e molto grazie a Cerruti), detesta tutto quello che è aderente al corpo, che lo costringe, che non lo accompagna nei movimenti e ne accarezza i pensieri.
Quelli soprattutto, i pensieri, che devono fluire liberi, senza preclusioni nemmeno nell’abito. “Il diritto di essere confortevoli ha un limite, ma anche un paio di pantaloni della tuta possono essere eleganti, magari indossati con un certo maglione: tutto dipende da chi li porta e da come si armonizzano con la sua personalità”, dice, mentre parliamo di mutazioni della moda in epoca di smart working da prevenzione pandemica e lo facciamo inevitabilmente via Zoom, cercando di evitare i soliti aneddoti che lo riguardano e che molti potrebbero citare a memoria: gli studi di filosofia interrotti a causa della morte prematura del padre; la nascita della prima fabbrica di pret-à-porter elegante da uomo, la Hitman, nel 1957; la prima boutique parigina alla fine degli Anni Sessanta che vendeva insieme abiti da donna e da uomo e che era stata disegnata da Vico Magistretti, suo grande cliente; la scoperta di Giorgio Armani.
L’agiografia del “signor Nino”, come viene chiamato da tempi lontani, forse ha bisogno di un aggiornamento, e di qualche dettaglio in più sulla sua storia, su quello che fa di lui non solo un imprenditore ma l’uomo che l’Encyclopédie de la Mode definisce nel primo capoverso “il più francese degli stilisti italiani”. Ci proviamo, partendo proprio dal mezzo che ci permette di vederci a distanza, il web. The media is the message, e questo genere di comunicazione lo intriga moltissimo. Osserva che l’accelerazione all’evoluzione digitale e produttiva delle imprese impressa dal Covid è stata incredibilmente veloce, che la rivoluzione portata da Internet, dall’e-commerce e dai social sta cambiando i tempi e i modi del nostro desiderio di acquisto, ma che uno dei prossimi compiti della moda non sarà certo solo quello di velocizzare i processi di produzione e di distribuzione per esaudirli.
(Continua)
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In apertura: un ritratto del “Signor Nino” nella sede del Lanificio Fratelli Cerruti, a Biella, fotografato da Jonathan Frantini.
Leggete l'intervista integrale sul numero di febbraio de L'Uomo, in edicola dal 22 gennaio
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