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La danza

Le parole contano.
Hanno sempre contato, ma contano più che mai in un momento storico in cui, da una parte, il nostro vocabolario si restringe in maniera allarmante, e dall’altra esse sono sempre più spesso prese in ostaggio, svuotate di significato, usate come armi, piegate a interessi di corto raggio, piccoli e meschini. Il più acuto osservatore della realtà italiana, il sociologo Giuseppe De Rita, lo ha detto di recente in un’intervista a Repubblica: nel nostro Paese «la cosa più urgente è rieducare al linguaggio. È una questione che riguarda l’intera classe dirigente, non solo i politici ma anche presidenti di authority, comandanti dei carabinieri, giornalisti: dovremmo riscoprire tutti la misura nell’eloquio, la capacità di parlare senza scadere in una lingua “imbagascita”». (Il protagonista del racconto di Ivan Cotroneo, a pagina 86, vorrebbe «che le sue parole corrispondessero ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti, che non ferissero inutilmente, che splendessero, invece di essere sporche palle di neve con una pietra nascosta al centro»).

Le parole contano anche per un giornale d’immagine come Vogue Italia. Perché la moda,e Franca Sozzani l’ha capito prima di ogni altro, non è un contenuto, è un linguaggio.E ha senso nella misura in cui viene utilizzato per trasmettere valore.
È compito di tutti noi fare in modo che le parole che oggi caratterizzano la conversazione di questa industria (diversità, inclusività, sostenibilità) non si svuotino di significato, che non diventino furbi cliché usati per vendere una T-shirt in più, una copia in più. Noi pensiamo che sia giusto sfidarle, quelle parole, metterle in discussione per far sì che, alla fine del processo, ne escano più forti. Abbiamo cominciato due numeri fa con una provocazione intelligente firmata da Bret Easton Ellis. Qui gli rispondono Al Gore ed Erica Jong, ne ragiona Michele Masneri, una serie di fotografi ne danno la loro interpretazione, alcune figure chiave del settore provano a ipotizzare parole d’ordine prossime venture.

Le parole vanno salvate.
Tutte, ma alcune più di altre perché si portano dentro un mondo. Per questo il giornale si apre con una serie di contributi d’autore: ogni pagina una parola, e la spiegazione del perché vale la pena proteggerla. Poi comincia un viaggio in cui le parole sono quelle di un ragazzino che con la poesia combatte i propri demoni e quelle di un’artista non udente che scrive versi sui muri perché sa bene che «words shape reality»; sono quelle di un fotografo sulle onde del mare e di un altro che rilegge una vecchia lettera d’amore; parole che vestono al posto dei vestiti, parole irriverenti su canali digitali, parole imparate da piccoli a cui restare aggrappati quando sembra che la marea ci porti via. Sono le ultime parole di un grande attore, che quasi citando se stesso al largo dei bastioni di Orione, dice al fotografo: «Quando si muore non rimane niente».

In questo numero hanno scritto e contribuito a diverso titolo, oltre ai più prestigiosi fotografi e stylist, due premi Nobel, due premi Pulitzer e un gran numero di cronisti, critici, curatori, protagonisti del mondo della moda e dell’arte, autori di best sellers. A tutti va il mio personale grazie per averci aiutato a mettere assieme questa piccola, provvisoria, ipotetica fotografia del mondo in cui viviamo.

E un grazie speciale va a uno di loro, Michael Cunningham. Con lui abbiamo lavorato a un esperimento, per quel che ci risulta mai tentato prima: abbinare in copertina agli scatti di Mert & Marcus e Paolo Roversi un breve racconto scritto da Cunningham su misura per queste foto – volevamo vedere come ne sarebbe cambiata la percezione, come e se fosse possibile far convivere due punti di vista. Ha scritto di rose e sogni, di terra e cielo. Ci piace vederla come una specie di danza, in cui le parole diventano immagine, e l’immagine parole.

Vogue Italia, settembre 2019, No. 829, pag.67

(English text)

Words matter, especially now. They have always mattered but this is a time in which our vocabulary is shrinking at an alarming rate even as the words we do have are increasingly taken hostage, emptied of meaning, used as weapons, or bent to serve short-range, narrow-minded, petty interests. The most insightful observer of the Italian situation, the sociologist Giuseppe De Rita, said so in a recent interview with la Repubblica: in Italy “the most urgent thing is to re-educate on the use of language. It is a question that regards the entire ruling class. We must all rediscover a sense of proportion in the way we speak, the ability to talk without degenerating into a ‘sluttified’ language.” (The protagonist in the story by Ivan Cotroneo, on page 80, wishes “that his words could match his thoughts and feelings, that they would never needlessly offend, and that they might sparkle, instead of being dirty snowballs with a stone hidden in the middle”.)

Words also matter for an image-based magazine like Vogue Italia. Because, as Franca Sozzani understood before anyone else, fashion is not contents – it is a language. And it has meaning insofar as it is used to convey value.

It’s down to all of us to ensure that the words currently characterising the conversation in this industry (diversity, inclusivity, sustainability) are not rendered meaningless, and do not become sly clichés used to sell an extra T-shirt or an extra copy. We think it is right to challenge and question those words so that they come out stronger at the end of the process. Two issues ago we started with an intelligent provocation written by Bret Easton Ellis. Here a response arrives from Al Gore and Erica Jong, and the discussion on words continues with a series of photographers’ interpretations. Several key figures in the sector, meanwhile, attempt to suggest watchwords for the near future.

Words must be saved.
All of them, but some more than others because they carry a world within themselves. Accordingly, the magazine opens with a series of auteur contributions: one word for each page, and an explanation of why it’s worth protecting. This issue then embarks on a journey where the words are of a boy who uses poetry to fight his own demons, and of a hearing-impaired artist who writes lines of verse on walls because she knows that “words shape reality”. The words also belong to a photographer on the waves of the sea, and to another who rereads an old love letter. There are words that dress the body instead of clothes, irreverent words on digital channels, and words learnt as kids that we cling on to when it seems the tide is sweeping us away. They are the last words of a great actor who, almost quoting himself off the shoulder of Orion, tells the photographer: “When you die, nothing remains.”

Alongside the most outstanding photographers and stylists, this issue features a variety of written pieces and contributions by two Nobel Prize winners, two Pulitzer Prize winners, as well as numerous reporters, critics, curators and leading figures from the world of fashion and art, authors of bestsellers. I personally thank all of them for their help in composing this small, provisional, hypothetical snapshot of the world we live in.

And a special thank you goes to one of them, Michael Cunningham. With him we worked on an experiment that, to our knowledge, has never been tried before: to combine Mert & Marcus and Paolo Roversi's photos on the covers with Michael Cunningham's words. We wanted to see how the perception of the cover would change, how and if it were possible to make two points of view coexist. He has written about roses and dreams, earth and sky. We like to see it as a kind of dance, where the words become images, and the images become words.



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